Alcuni dipendenti della società Foodora srl agivano dinanzi al Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Torino per rivendicare l’accertamento del loro rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l’azienda, nonché per ottenere il risarcimento del danno subito a vario titolo

Erano stati assunti dalla Foodora Srl con la mansione di fattorino, nello specifico riders per il trasporto di alimenti, in forza di contratti di collaborazione coordinata e continuativa a tempo determinato, prorogati fino al 30.11.2016.

Nel processo era emerso quanto segue:

Dopo aver compilato un formulario sul sito dell’azienda, erano stati convocati in piccoli gruppi presso l’ufficio della sede centrale di Torino per un primo colloquio ove veniva spiegato loro che l’attività presupponeva il possesso di una bicicletta e la disponibilità di uno smartphone.

In un secondo momento veniva loro proposta la sottoscrizione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e, dietro versamento di una caparra di € 50, venivano loro consegnati i dispositivi di sicurezza (casco, maglietta, giubbotto e luci) e l’attrezzatura per il trasporto del cibo (piastra di aggancio e box).

Il contratto sottoscritto aveva le seguenti caratteristiche:

–          Si trattava di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa;

–          Era previsto che il lavoratore fosse “libero di candidarsi o non candidarsi per una specifica corsa a seconda delle proprie disponibilità ed esigenze di vita”;

–          Il lavoratore si impegnava ad eseguire le consegne avvalendosi di una propria bicicletta “idonea e dotata di tutti i requisiti richiesti dalla legge per la circolazione”;

–          Era previsto che il collaboratore avrebbe agito “in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza o di orario di qualsiasi genere nei confronti della committente, ma era tuttavia “fatto salvo il necessario coordinamento generale con l’attività della stessa committente”;

–          Era prevista la possibilità di recedere liberamente dal contratto, anche prima della scadenza concordata;

–          Il lavoratore, una volta candidatosi per una corsa, si impegnava ad effettuare la consegna tassativamente entro 30 minuti dall’orario indicato per il ritiro del cibo, pena applicazione a suo carico di una penale di 15 euro;

–          Il compenso era stabilito in euro 5,60 per ciascuna ora di disponibilità;

–          Il collaboratore doveva provvedere ad inoltrare all’INPS “domanda di iscrizione alla gestione separata” e la committente doveva provvedere a versare il relativo contributo.

La gestione del rapporto avveniva attraverso una piattaforma multimediale “Shyftplan” e un applicativo per smartphone; cosicché l’azienda pubblicava settimanalmente su di essa gli “slot” con indicazione del numero di riders necessari per coprire ciascun turno. Ciascun collaboratore poteva dare la propria disponibilità e attendere la conferma dal sistema.

Soltanto a quel punto si sarebbe recato presso una delle tre zone di partenza predefinite, attivare l’applicativo inserendo le proprie credenziali di accesso e avviare il GPS.

Da questo momento riceveva sull’app una notifica dell’ordine con l’indicazione dell’indirizzo del ristorante ove si sarebbe recato con la propria bicicletta, prendere in consegna i prodotti, controllarne la corrispondenza con l’ordine e comunicare il buon esito della verifica alla ditta.

E così, una volta posizionato il cibo nel box, il rider doveva provvedere a consegnarlo al cliente il cui indirizzo gli era stato nel frattempo, comunicato.

Cosa chiedevano allora i riders all’azienda?

Nella specie, essi domandavano l’accertamento della costituzione di un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la condanna della convenuta:

–          Alla corresponsione delle somme loro dovute a titolo di differenze retributive dirette e indirette come da CCNL;

–          Al ripristino del rapporto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quello dell’effettiva ricostituzione, previo accertamento della nullità, inefficacia o illegittimità del licenziamento;

–          Al risarcimento del danno subito per violazione da parte del datore di lavoro della normativa in materia di privacy, sia per quanto concerne l’accesso ai dati personali che per quanto concerne il controllo a distanza;

–          Il risarcimento del danno subito per la violazione da parte del datore di lavoro delle disposizioni di cui all’art. 2087 c.c. e pe la mancanza di una adeguata tutela antinfortunistica;

Di tali domande nessuna trovava accoglimento in primo grado.

Ed ecco giungersi al processo d’appello.

La corte territoriale torinese cui è stata rimessa la causa ha respinto anch’essa la domanda dei ricorrenti sull’assunto che non poteva dirsi in alcun modo esistente un rapporto di subordinazione tra le parti.

Ed infatti, i giudici della corte d’appello non potevano omettere di rilevare che la durata dei rapporti di lavoro citati era compresa tra i sei e gli undici mesi, con una prestazione decisamente inferiore alle 20 ore settimanali.

Si tratta evidentemente di una modalità già di per sé poco compatibile con la natura subordinata.

Ma non è tutto. Ad escludere la sussistenza della subordinazione era la circostanza che tutti i predetti lavoratori erano liberi di dare o meno la propria disponibilità per i vari turni (slot) offerti dall’azienda.

Erano loro cioè a decidere se e quando lavorare e senza, peraltro, doversi giustificare o doversi cercare un sostituto; inoltre potevano decidere anche di non prestare servizio nei turni per i quali avevano dato la loro disponibilità, revocandola o semplicemente non presentandosi (sempre attraverso funzioni consentite dall’app a loro disposizione).

Mancava, perciò, il requisito della obbligatorietà della prestazione.

Non è servito dunque agli appellanti richiamare i precedenti arresti giurisprudenziali, loro favorevoli, per far accogliere la domanda.

Le motivazioni della corte territoriale muovono dal contenuto dell’art. 2094 c.c. che oltre a definire le modalità di svolgimento della prestazione tipiche del rapporto di lavoro subordinato, prevede anche tra i requisiti essenziali della fattispecie, l’obbligo di lavorare.

Ebbene, nel caso in esame, non poteva certo parlarsi di lavoro subordinato ma semmai di prestazione autonoma.

L’art. 2 del D.Lgs. 81/2015: la etero-organizzazione come tertium generis

Nel ricorso in appello i ricorrenti avevano anche richiamato l’art. 2 del D.Lgs n. 81/2015 secondo il quale dal 1 gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione autonoma etero-organizzata in essere, che però continuano a mantenere la loro natura.

La corte d’appello ha dovuto perciò parzialmente accogliere la domanda degli appellanti.

La società è stata così condannata a pagare quanto loro dovuto in relazione ai giorni e alle ore di attività lavorativa effettivamente prestata dai medesimi.

La previsione normativa citata, a giudizio dei giudici torinesi, individua un terzo genere tra il rapporto di lavoro subordinato (art. 2094 c.c.) e la collaborazione prevista dall’art. 409 n. 3 c.p.c.

La ratio è stata quella di garantire una maggiore tutela alle nuove fattispecie di lavoro che con l’evoluzione tecnologica si vanno via via sviluppando.

Tale disposizione postula un concetto di etero-organizzazione in capo al committente che viene così ad avere il potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore e cioè la possibilità di stabilire i tempi e il luogo del lavoro.

Pur senza “sconfinare” nell’esercizio del potere gerarchico, disciplinare la collaborazione è qualificabile come etero-organizzata quando è ravvisabile una effettiva integrazione funzionale del lavoratore nella organizzazione produttiva del committente, in modo che la prestazione lavorativa finisce con l’essere strutturalmente legata a questa (l’organizzazione) e si pone come qualcosa che va oltre alla semplice coordinazione di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c. in cui è il collaboratore che pur coordinandosi con il committente organizza autonomamente la propria attività lavorativa.

Sul licenziamento

L’esclusione della qualificazione quale rapporto di lavoro subordinato tra i ricorrenti e la Foodora srl rendeva prive di fondamento anche le domande proposte in materia di licenziamento.

Così pure, nessuna condanna al risarcimento dei danni lamentati poteva essere loro riconosciuta in assenza di prova specifica.

La redazione giuridica

 

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