Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 settembre – 26 ottobre 2016, n. 44986

L’ontologicità della condotta (quella di procurare un “piacere”) non muta per il solo fatto che, nel caso esaminato, la condotta dell’imputato era caratterizzata (anche) da pratiche costrittive, ovvero per il fatto che l’attività da lui spiegata avrebbe potuto, prevedibilmente, provocare delle abrasioni o delle ecchimosi sul corpo delle ragazze (…) ciò che esclude la riconduzione delle pratiche suddette al concetto di “attività violenta” – inquadrabile nelle fattispecie di percosse o lesioni – è l’assenza della volontà di provocare sensazioni dolorose ai soggetti che ad esse si sottopongono”.

L’uomo era stato sottoposto a giudizio con l’imputazione di omicidio preterintenzionale e lesioni personali gravi procurate a danno di due ragazze di 23 anni con le quali, di comune accordo, si dava alla pratica di giochi erotici a base sadomaso. L’accordo prevedeva l’adozione di tecniche di bondage, ossia di costrizione fisica, anche mediante legatura.

I tre si trovavano, infatti, legati da una corda e il gioco consisteva nel creare una sorta di bilancia i cui pesi erano costituiti dai corpi delle due ragazze che, alternativamente poggiavano i piedi a terra. Ad un tratto, una delle due ragazze (quella con il peso maggiore, circa 100 kg), accusava un malore, perdeva i sensi e si accasciava a terra. Così facendo, la stessa metteva in tensione la corda posta attorno al proprio collo, tirando con sé violentemente anche la parte della corda che avvolgeva il collo dell’altra ragazza.

A seguito di detto “imprevisto” entrambe le ragazze – seppure soccorse dall’uomo – entravano in crisi respiratoria: una decedeva e l’altra riportava gravi lesioni personali, mettendo in pericolo la propria vita.

L’accusa mossa dal Pubblico Ministero a carico dell’imputato era stata, sin da subito, quella di omicidio preterintenzionale e per la donna che avvertì il malore quella di lesioni volontarie gravi.

Ma secondo il Giudice dell’udienza preliminare e la Corte d’Assise d’appello trattavasi di omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento. L’uomo non avrebbe, infatti, accettato il rischio di procurare la morte o le lesioni alle due ragazze e ciò sulla base delle seguenti considerazioni: a) la pratica era stata avviata col consenso delle vittime; b) il nodo intorno al collo delle donne era stato “bloccato” a sufficiente distanza dalle vie respiratorie; c) l’imputato si era immediatamente attivato per soccorrere le ragazze; d) l’imputato aveva immediatamente avvertito i carabinieri e confessato i fatti.

Tutto ciò dimostrava – secondo i giudici di merito – che la pratica sadomaso non era stata avviata allo scopo di infliggere sofferenza alle donne, ma al solo scopo di procacciare alle stesse e a sé stesso un più intenso piacere sessuale.

Tanto bastava – anche ad avviso dei giudici della Suprema Corte di Cassazione – ad escludere la preterintenzione «giacché un’attività ontologicamente rivolta (con tutte le riserve del caso) a procurare un piacere non può essere posta sullo stesso piano di un’attività rivolta a procurare una sofferenza, per l’ontologica diversità tra esse esistente».

È noto infatti come elementi essenziali dell’omicidio preterintenzionale sono  “atti diretti” a percuotere e/o ferire; vale a dire atti diretti a esercitare una coazione fisica sulla persona – riconducibili alla previsione dell’art. 581 cod. pen., ovvero a quella dell’art. 582 – che abbiano come fine ultimo l’inflizione di una sofferenza (sia essa – nelle percosse – una sensazione di dolore o di fastidio; ovvero – nelle lesioni – una menomazione, anche temporanea, dell’integrità fisica); tutto il contrario, cioè, dell’intenzione dell’imputato (quella cioè di provocare piacere).

Inconferenti sono dunque, a giudizio degli Ermellini, tutte le disquisizioni sulla qualificazione della pratica di c.d. “bondage” o “breath playing“, giacché ciò che esclude la riconduzione delle pratiche suddette al concetto di “attività violenta” – inquadrabile nelle fattispecie di percosse o lesioni – è proprio l’assenza della volontà di provocare sensazioni dolorose ai soggetti che ad esse si sottopongono.

Se così non fosse – aggiungono gli stessi giudici – si rischierebbe di far rientrare nella condotta tipica “anche condotte rivolte (non all’offesa, ma) alla tutela dell’integrità fisica (come la condotta del medico che incida sui tessuti del paziente per estirpare un male; la condotta del rianimatore che schiaffeggi la persona per farla rinvenire; ecc.). Vi rientrerebbero, assurdamente, anche le pratiche sessuali “normali”, le quali determinano, comunque, microlesioni – generalmente impercettibili – sul corpo dei praticanti (o effetti più appariscenti – quali ecchimosi, tumefazioni o graffi – a seconda delle modalità di consumazione del rapporto o della foga in esso profusa)”.

Senza contare che i reati di lesioni e percosse presuppongono il dissenso della persona offesa rispetto alle attività violente su di lei esercitate. Dissenso insussistente nella specie, essendo certamente presente il consenso delle due donne rispetto alle attività costrittive su di loro esercitate.

Nessuna condanna, allora, per omicidio preterintenzionale! Trattasi piuttosto di colpa “cosciente”, pienamente dimostrata anche dal fatto che l’uomo aveva “bloccato” il nodo della corda posta intorno al collo delle ragazze nonostante l’evidente pericolosità della situazione da lui creata e l’evidente probabilità (percepibile anche a persona poco accorta) di passare dal “gioco” alla tragedia.

Avv. Sabrina Caporale

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