Per la Cassazione, se una persona non desidera divenire genitore, dovrebbe, secondo l’ordinaria diligenza, utilizzare mezzi contraccettivi sicuri e non affidarsi alle dichiarazioni altrui

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 10906/17, è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato da un uomo, divenuto padre, dopo essere stato convinto dalla propria fidanzata a consumare un rapporto sessuale non protetto, con l’assicurazione che, in quel determinato periodo, lei non era fertile.
Sentendosi raggirato l’uomo aveva agito in giudizio nei confronti della compagna che aveva “premeditato” la gravidanza, nel frattempo divenuta ex, per ottenerne il risarcimento del danno. La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto infondate le sue pretese. Per i Giudici del Palazzaccio, infatti, “la fidanzata non ha alcun obbligo di informare il proprio compagno circa la sua fertilità, o meno, posto che tale aspetto ben può essere ricondotto nel diritto di riservatezza della persona”.
L’eventuale menzogna su tale stato, inoltre, qualora portasse a una paternità indesiderata, non è fonte di alcun obbligo risarcitorio da parte della compagna in quanto, “qualora una persona non volesse procreare, può reperire con semplicità mezzi contraccettivi” e “l’omesso utilizzo di questi comporta che le persone si assumano le conseguenze delle proprie azioni”. Pertanto, secondo la Cassazione, la menzogna non costituisce un illecito civile né, tantomeno penale, e non può quindi dar luogo ad alcun risarcimento.
Nel caso in esame, non sarebbe configurabile un “abuso del diritto” per violazione dei doveri di correttezza e buona fede (artt. 2 Cost. e 1175 c.c.), poiché il rapporto sessuale non appare sussumibile “nell’esercizio del diritto e nell’adempimento del corrispondente dovere di solidarietà”. Inoltre, non si potrebbe fare alcun riferimento al “diritto alla procreazione cosciente e responsabile” previsto dalla legge 194/1978, poiché questo costituisce un “diritto pubblico” e non un obbligo del partner.
La condotta della donna, poi, non potrebbe essere qualificata come violenza sessuale, dal momento che l’articolo 609 bis del codice penale tutela la libertà sessuale e non la volontà di procreare, né tantomeno come violenza privata, ai sensi dell’articolo n, 610 del codice penale in quanto non vi è stata alcuna costrizione nell’adottare o meno un mezzo contraccettivo. Non si può ritenere configurato neppure il reato di truffa (articolo 640 del codice penale) dal momento che la norma prevede ai fini dell’integrazione dell’illecito, l’ottenere un ingiusto profitto con il danno arrecato.
Gli Ermellini, quindi, allineandosi alla giurisprudenza di legittimità, non hanno riconosciuto alcun risarcimento a carico della fidanzata ritenendo che, se una persona non desidera divenire genitore, dovrebbe, secondo l’ordinaria diligenza, utilizzare mezzi contraccettivi sicuri e non affidarsi alle dichiarazioni altrui.

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