Da alcuni anni ormai si parla dell’attività in acqua come coadiuvante nel trattamento riabilitativo. Ma è una terapia indispensabile, utile o non necessaria? Cerchiamo di fare chiarezza

L’acqua può essere un ottimo alleato nel trattamento FKT, purché se ne conoscano perfettamente i dati vantaggiosi e quelli meno idonei.
Innanzitutto specifichiamo che quando si parla di idrokinesiterapia non si parla assolutamente né di nuoto né di acqua-gym. Il primo è infatti un vero e proprio sport con tutte quindi le indicazioni e controindicazioni del caso. Nel caso dell’acqua-gym, si parla di un’attività di piscina tendente ad aumentare il trofismo muscolare e migliorare le performance cardiovascolari del soggetto sportivo, ma quindi indicato nel paziente da riabilitare. In questa attività, infatti, l’acqua è usata prevalentemente come aumento della resistenza al movimento e non come facilitazione di esso.

Altro punto da chiarire è che la idrokinesiterapia è un’attività sanitaria a tutti gli effetti, e pertanto non potrebbe essere svolta in piscine che non presentino questi specifici permessi. In particolare la piscina a fini terapeutici dovrà avere una temperatura non di 26°C ma di 32°C. Dovrà avere una discesa in acqua confortevole e non rischiosa per qualsiasi tipo di paziente, anche con handicap. Quindi dovranno essere previsti in struttura scivoli specifici o altri sistemi semiautomatici di sollevamento. Solo così si potranno ottemperare gli obblighi assicurativi e di legge che le ASL prevedono.

Ma al di là dei problemi normativi la domanda che i pazienti pongono è: “E’ utile o no la idrokinesiterapia nel trattamento riabilitativo? Ed eventualmente quando dovrebbe essere posta tale indicazione terapeutica?”.
La terapia in acqua in effetti può costituire certamente un’ulteriore possibilità di cura del paziente da riabilitare. Permette, infatti, di ridurre il carico e di esercitare una continua compressione sulla superficie corporea che, insieme alla temperatura confortevole, può ridurre la tumefazione e il dolore. Si può inoltre sfruttare la resistenza dell’acqua nelle prime fasi della riabilitazione, per favorire il rinforzo muscolare.
L’attività in acqua può poi aumentare il controllo del movimento, ovvero la “propriocezione”, con indubbi gratificanti effetti sull’attività.

Da tutto ciò quindi si evince che la idrokinesiterapia può senz’altro far parte del protocollo riabilitativo specie nella cura di alcune affezioni articolari specie post-intervento, ma sempre in complementarietà rispetto ad altre tecniche riabilitative “all’asciutto” e mai in sostituzioni di queste.

Resta da considerare come ultimo punto il problema dei costi. E’ ovvio, infatti, che se la piscina è normativamente a posto, ed è mantenuto il rapporto 1:1 paziente:fisioterapista, il costo, a parità di tempo, sarà il doppio o il triplo rispetto a un pari trattamento all’asciutto.
La prescrizione medica pertanto non dovrebbe limitarsi a una pura formalità, ma dovrebbe tener presente tutti i fattori detti, informando appieno il paziente dell’appropriatezza di un certo trattamento.

Se le notizia possedute dal sanitario e quindi fornite dal paziente, sono solo parziali, forze è meglio astenersi da prescrizioni “ad effetto” che, se non indispensabili, rischiano di aumentare le difficoltà e la confusione nel soggetto da riabilitare.

Dott. Luigi Girvasi
Specialista in Medicina dello Sport
luigi.girvasi@gmail.com

Dr FKT. Lello Sonnino

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