Prospettive ottimistiche in un convegno organizzato dall’Aiom. In Italia guarigioni più alte rispetto alla media UE

In Italia le guarigioni dei pazienti colpiti da tumore del polmone (14,3%) e della vescica (78%) sono più alte rispetto al resto d’Europa (rispettivamente 13% e 68,6%) e tali percentuali sono destinate a migliorare in modo significativo grazie all’immuno-oncologia, che mira a ‘risvegliare’ il sistema immunitario contro le cellule tumorali.
Nel nostro Paese vivono quasi 87.800 persone dopo il tumore del polmone e 253.850 dopo quello della vescica. Si tratta infatti di due delle neoplasie più frequenti (la terza e la quinta), che fino a poco tempo fa non presentavano reali alternative terapeutiche se diagnosticate in fase avanzata.
Per i pazienti con cancro alla vescica, in particolare, si registra un primo reale passo avanti nelle prospettive di cura dopo decenni in cui sono mancate significative novità. Nel nostro Paese la patologia ha fatto registrare, nel 2016, 26.600 nuovi casi. Si tratta spesso di pazienti anziani e fragili, con molte altre patologie che limitano l’uso della chemioterapia.
L’immuno-oncologia, dunque, apre una nuova era contro forme di neoplasia estremamente diffuse, modificando lo standard di trattamento di tali tumori. Di tale approccio si è discusso nell’ambito del convegno “Immunoterapia nei tumori del polmone e dell’urotelio, a che punto siamo?”, organizzato dall’Aiom (Associazione italiana di oncologia medica). “Stiamo entrando nella seconda fase dello ‘tsunami’ provocato da questa rivoluzione terapeutica” – afferma il presidente Aiom, Carmine Pinto – Da un lato sono chiari i vantaggi dell’uso di questi farmaci in combinazione o in sequenza, a cui si aggiunge in prospettiva anche la possibilità di combinarli con quelle tradizionali per aumentarne l’efficacia. E’ indispensabile individuare fattori per selezionare al meglio i pazienti che hanno le migliori probabilità di ottenere un vantaggio, che può essere molto consistente, con l’immuno-oncologia. Tutto questo per ottenere insieme maggiore efficacia della cura e migliore utilizzo delle risorse economiche, riunendo in un unico perimetro il concetto di accesso alle cure innovative per tutti i pazienti e di sostenibilità per la sanità pubblica”.
“Le moderne tecniche di determinazione dei biomarcatori, largamente utilizzate nella comune pratica clinica, hanno favorito il concetto di medicina personalizzata – continua il prof. Mauro Truini, presidente SIAPEC-IAP (Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica) – e quindi delle terapie a target molecolare. Questo concetto non è allo stesso modo estrapolabile per l’immunoterapia. I marcatori oggi disponibili, come PD-L1, la cui valutazione avviene mediante immunoistochimica, una tecnica ampiamente utilizzata nella diagnosi di diverse patologie, probabilmente non comprendono interamente questa problematica. Per la determinazione immunoistochimica di PD-L1 abbiamo oggi a disposizione anticorpi differenti che valutano componenti cellulari diverse. La SIAPEC-IAP insieme ad AIOM è fortemente impegnata per armonizzare i diversi test e renderli fruibili diffusamente nella pratica clinica. È un’area della ricerca di grande interesse, perché potremo incrementare la percentuale di malati in grado di rispondere ai trattamenti in funzione delle caratteristiche della neoplasia da cui sono colpiti”.
Nel trattamento dei pazienti con carcinoma del polmone non a piccole cellule in stadio avanzato abbiamo a disposizione farmaci anti-PD1 come il nivolumab ed il pembrolizumab, e, più di recente, anche farmaci anti-PD-L1 come l’atezolizumab. “Questi stessi farmaci si sono dimostrati attivi nel trattamento del carcinoma metastatico della vescica – afferma il prof. Paolo Marchetti, direttore dell’Oncologia Medica all’Ospedale Sant’Andrea di Roma -. L’atezolizumab ha ridotto la massa tumorale in circa un quarto dei pazienti e la sopravvivenza mediana è stata di 15,9 mesi (generalmente in questi pazienti, è pari a 9-10 mesi con la chemioterapia). Inoltre i pazienti hanno manifestato anche un miglioramento dei sintomi: sappiamo che una migliore qualità di vita svolge un ruolo decisivo nell’adesione alle cure”.
Il fumo di sigaretta è responsabile dell’85–90% di tutti i carcinomi polmonari. E al tabacco possono essere attribuiti i due terzi del rischio complessivo di tumore della vescica negli uomini e un terzo nelle donne. “L’evidenza che i tumori responsivi all’immuno-oncologia abbiano un’origine legata al fumo conferma dati noti da anni nei modelli sperimentali, ovvero che la risposta immunitaria sia spontaneamente più forte contro mutazioni del DNA che rendono le cellule tumorali ‘aliene’ al nostro organismo e quindi da rigettare – spiega la prof.ssa Licia Rivoltini, Direttore Unità di Immunoterapia dei Tumori Umani all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano -. L’immuno-oncologia sta modificando in maniera sostanziale uno scenario terapeutico che, nel carcinoma della vescica, era praticamente fermo a 30 anni fa, per decenni infatti sono mancate significative novità. Le persone colpite da questo tumore sono spesso anziane e fragili, con molte altre patologie che limitano l’uso della chemioterapia”.

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