È lecito che un genitore imponga al proprio figlio il suo credo religioso? Per la Corte di Cassazione, se il minore manifesta disagio tale imposizione può danneggiare la sua crescita emotiva.

La Corte di Cassazione, prima sezione civile, nella sentenza n. 12954/2018 ha fornito chiarimenti sui rischi, per un genitore, derivanti dall’ imporre la propria religione al figlio.

Laddove quest’ultimo, infatti, manifesti un disagio nel partecipare alle celebrazioni, la imposizione di un credo religioso potrebbe compromettere la sua crescita emotiva.

La vicenda

Nel caso di specie, la Cassazione ha respinto il ricorso di un padre che aveva reclamato, senza risultato, il provvedimento emesso dal Tribunale in sede di determinazione delle condizioni di affido condiviso della figlia minore.

Nello specifico, il giudice di prime cure gli aveva impedito di condurre con sé la bambina, nata da una relazione more uxorio, agli incontri dei Testimoni di Geova.

L’uomo aveva infatti abbracciato tale fede religiosa dopo la fine della convivenza.

Tuttavia, la figlia, ascoltata dal Giudice, aveva manifestato un disagio derivante dal partecipare a tali incontri.

Non solo. Anche la CTU psicologica aveva ritenuto pregiudicata l’equilibrata crescita emotiva della minore. Questo proprio in virtù delle modalità con cui il padre intendeva portarla a conoscenza del proprio credo.

L’uomo aveva deciso di imporre la propria religione alla figlia, impedendole di partecipare alle messe cattoliche. Era questo, infatti, il credo nel quale la bambina era stata cresciuta.

In Cassazione, però, l’uomo ha fatto ricorso. Il soggetto ha ritenuto lesa la sua libertà di religione e limitato il suo diritto a far conoscere e apprezzare alla bambina la sua nuova religione.

Il padre ha ricordato i numerosi principi a tutela di tale diritto, sia a livello costituzionale che sovranazionale. Principi che consentono di educare i figli nella propria fede purché, nel rispetto delle loro inclinazioni, questi siano lasciati liberi di scegliere se e in cosa credere.

Proprio in virtù di tale assunto, gli Ermellini hanno ritenuto legittimo il divieto imposto al genitore di portare la minore alle manifestazioni della sua confessione religiosa.

Ciò in quanto è stato appurato che tale circostanza potesse pregiudicare l’equilibrata crescita emotiva della bambina.

Ne consegue pertanto che il giudice può impedire al padre di condurre la figlia alle manifestazioni se la minorenne ha manifestato un disagio nel parteciparvi.

Inoltre, il Collegio ha ribadito che il criterio fondamentale cui il giudice deve attenersi nel fissare le modalità dell’affidamento dei figli minori in caso di conflitto genitoriale è proprio quello del superiore interesse della prole.

Perseguire questo obiettivo può, pertanto, comportare l’adozione di provvedimenti che restringono i diritti di libertà individuali dei genitori. Quanto meno laddove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute psico-fisica e lo sviluppo.

Alla luce di quanto enunciato, gli Ermellini ritengono che il decreto impugnato dal genitore sia immune da censure. Ciò in quanto è stato adottato nel preminente interesse della bambina.

Fermo restando, inoltre, che imporre la propria religione alla figlia era risultato, al CTU che ha effettuato la perizia psicologica, pregiudizievole per la minore.

 

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