L’illecito della tentata importazione di stupefacenti si configura con il raggiungimento dell’accordo per il trasferimento della droga sul territorio italiano

Tentata importazione di stupefacenti. Questa l’ipotesi di reato formulata nei confronti di due soggetti colpiti da ordinanza di custodia cautelare. Gli indagati erano accusati di aver ricoperto il ruolo di intermediari nell’ambito di una trattativa finalizzata al compimento dell’illecito previsto dal  D.P.R. n. 309/1990. La transazione, tuttavia, non si era concretizzata a causa dei molteplici arresti e della difficoltà del reperimento delle risorse economiche per l’acquisto della droga.

Il Tribunale di Roma aveva annullato il provvedimento emesso del Gip. Contro tale decisione era scattata l’impugnazione per cassazione da parte del Procuratore della Repubblica. Secondo il magistrato, il Giudice avrebbe erroneamente escluso la sussistenza del tentativo punibile del reato. Ciò “nonostante gli elementi raccolti deponessero in senso opposto”. Dalle indagini era infatti “emersa prova del coinvolgimento degli indagati nelle trattative per concordare il quantitativo di droga, il prezzo e la destinazione”.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 7806/2018,  ha ritenuto effettivamente fondate le argomentazioni proposte, accogliendo il ricorso, in quanto fondato. Per gli Ermellini, infatti, il reato di “importazione di stupefacenti si realizza anche prima del materiale trasferimento della droga in territorio nazionale”.

E’ sufficiente, in tal senso, che “l’agente abbia acquisito in uno Stato estero la proprietà della droga medesima, assumendo l’onere del trasporto a proprie cure”.

In base al “principio consensualistico che regola il contratto di compravendita”, chiariscono dal Palazzaccio, è “l’incontro di volontà” che determina il passaggio della proprietà. Il reato, pertanto, si concretizza con “il raggiungimento dell’accordo circa il trasferimento della sostanza stupefacente destinata ad essere trasferita sul territorio italiano da parte dell’acquirente”.

Il reato, inoltre, è da ritenersi “tentato”, qualora sia accertata la commissione di “condotte che mostrino una seria volontà di raggiungere l’accordo”. In altri termini, “tutte le volte in cui, per la natura, la qualità e il numero dei contatti intervenuti tra le parti della trattativa, risulti che i contraenti abbiano riposto una sorta di affidamento sulla possibile conclusione della trattativa”.

Nel caso esaminato, la Cassazione ha evidenziato come i giudici del merito avessero erroneamente escluso il tentativo di reato poiché  non risultava che l’accordo fosse stato concluso. Di qui la decisione della Cassazione di rinviare la causa al Tribunale di Roma per un nuovo esame della vicenda.

 

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