Per i giudici non c’è stata negligenza da parte del medico del pronto soccorso nel caso della ragazza in coma per encefalite morbillosa

Si è chiuso con una assoluzione in primo grado per la dottoressa Teresa Rea – dell’Ospedale Renzetti di Lanciano –  il caso della ragazza entrata in coma per encefalite morbillosa.
Nella vicenda della giovane in coma per encefalite morbillosa nel 2011, si era ipotizzata la responsabilità del medico del pronto soccorso, dott.ssa Teresa Rea.

Ma per i giudici non c’è stata alcuna negligenza. La malattia era infatti inarrestabile e ha avuto esiti imprevedibili. Se la ragazza fosse stata vaccinata, però, avrebbe potuto salvarsi.

Si è chiuso dunque con un’assoluzione in primo grado “perché il fatto non costituisce reato”, il processo con rito abbreviato subordinato al deposito della perizia, nei confronti di Teresa Rea, medico di Pronto soccorso dell’ospedale Renzetti.
Il medico era accusato di lesioni personali colpose nei confronti di una ragazza di Lanciano, in stato vegetativo permanente dal 2011.
La giovane in coma per encefalite morbillosa, aveva contratto una forma di morbillo non diagnosticata né a Milano – dove studiava – né a Lanciano, dove fu ricoverata dopo due giorni di febbre, mal di gola e bolle.
L’iter del processo è stato molto lungo. Un autentico incubo per la famiglia della giovane, rappresentata dall’avvocato Piero Nasuti.

La ragazza si trova tuttora, da 6 anni, in stato vegetativo. Ma la famiglia non si dà pace e intende chiarire se si sarebbe potuta evitare questa drammatica conseguenza diagnosticando in tempo il morbillo.

Un calvario anche per il medico, però, che ha sempre affermato, come sostenuto dal suo avvocato difensore, Massimiliano Sichetti, di aver agito seguendo i protocolli. Una versione che, almeno in primo grado, è stata sostenuta anche dai giudici.
Il giudice Andrea Belli ha stabilito che non c’era un nesso causale tra la condotta del medico e la manifestazione della malattia.
La ragazza in coma vegetativo permanente per encefalite morbillosa aveva accusato a Milano i primi sintomi. Dopo due giorni era tornata a Lanciano, dove è stata ricoverata una sola notte al Renzetti.
Qui è stata sottoposta ad esami ematici specifici, i cui esiti sarebbero stati noti nelle 48 ore successive. Purtroppo la mattina seguente la giovane ha accusato un peggioramento.
Da lì il trasferimento a Pescara dove è entrata in coma per encefalite morbillosa.
Dopo una prima archiviazione, la Procura ha formulato l’accusa: il medico avrebbe qualificato erroneamente il morbillo come eritema da intolleranza da farmaci. Non solo.
Le avrebbe somministrato cortisone che avrebbe parzialmente soppresso la risposta immune al virus, causando un aggravamento della patologia, poi sfociata in encefalite morbillosa.

Da quel momento in poi la giovane è entrata in stato vegetativo permanente. E mentre l’accusa ha parlato di errori di “imprudenza, imperizia e negligenza”, per la difesa, invece, non ci sarebbero nessi causali.

Nel corso delle udienze i periti, sia quello di parte, Raffaele Ciccarese, che quelli del giudice, Cristian D’Ovidio e Arturo Di Girolamo, hanno evidenziato che il morbillo decorre in modi diversi e imprevedibili.
Pertanto, solo la vaccinazione avrebbe potuto salvarla.
La famiglia si è detta amareggiata. “Attenderemo 60 giorni – afferma l’avvocato Nasutti – per conoscere le motivazioni della sentenza, poi decideremo il da farsi, se presentare ricorso in appello. È una sentenza che lascia l’amaro in bocca, non fa chiarezza sul “ruolo” del cortisone dato dal medico e che, in questi casi, non si dà mai. Lo aveva indicato anche la Procura nel formulare l’imputazione e non è stato approfondito dai periti: è lì il nodo della questione”.
Una sentenza che sicuramente fa discutere, anche perché arriva in un periodo in cui – in Italia – l’aumento dei casi di morbillo si fa preoccupante.
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