In un rapporto contrattuale “…la distribuzione inter partes del carico probatorio riguardo al nesso causale deve tener conto della circostanza che la responsabilità è invocata in forza di un rapporto obbligatorio fra le parti ed è dunque finalizzata a far valere un inadempimento oggettivo: sul danneggiato grava dunque SOLO l’onere di allegare qualificate inadempienze, astrattamente idonee a porsi come causa o concausa del danno, nella prestazione del medico inserito nella sequenza eziologica da cui è scaturito il lamentato pregiudizio” (Cass. Civ. III Sez. 8664/17).
Tale chiarimento della Suprema Corte dovrebbe essere sempre presente a tutti i giuristi, specie ai Giudici della corte di Appello. Ma non solo, dovrebbe essere “tesoro” per tutti i medici forensi che esprimono il loro giudizio nello svolgimento dell’incarico di consulente tecnico in ambito di responsabilità sanitaria.
Il caso riportato nella sentenza riportata in calce al presente articolo esprime quelle che il sottoscritto ha sempre chiamato le “regole del gioco” e che spesso sono estranee ai CTU e ai CTP, medici legali e non.
L’inadempimento lamentato deve essere in astratto idoneo a produrre il danno lamentato dagli attori. Nel caso de quo era un ritardo di oltre un’ora dell’espletamento del parto in assenza di una esame CTG pre-partum che ha rappresentato l’inadempimento.
Da questo grave errore dei Giudici della Corte di Appello si deve fare tesoro nella valutazione della colpa medica; pur non essendo compito del ctu stabilirla (al contrario per il ctp) spesso viene chiesta specificatamente allo stesso.
Ma se andiamo a fondo nella lettura della sentenza di Cassazione esiste un altro importante concetto, ossia che quando chi dovrebbe dare la prova di non aver causato il danno lamentato non dimostra l’eziologia dell’evento dannoso, le conseguenze di tale evento non possono ricadere sulla parte più debole del contratto (il paziente), la quale non deve soddisfare a quest’onere.
Tale concetto è così espresso dalla Suprema Corte “… ai fini dell’affermazione della responsabilità medica << rileva non tanto e non solo la prova certa della sofferenza fetale, quanto piuttosto la prova certa della sua esclusione>>”.
Un ultimo punto su cui si ritiene doveroso soffermarsi a riflettere è la censura della parte attrice che giudica erroneo l’affermazione dei giudici di Appello che hanno ritenuto irrilevante “la mancanza del tracciato del monitoraggio CTG nel periodo immediatamente antecedente l’ingresso in sala parto” in ragione della “documentata assenza di sofferenza al momento della nascita e delle refertate buone condizioni del neonato” quando la stessa parte attrice lamentava anche il mancato riconoscimento della responsabilità del pediatra per aver sottaciuto la sofferenza perinatale del paziente, avendo praticato un trattamento farmacologico con antiemorragico non compatibile con un parto del tutto normale.
Secondo lo scrivente tale denuncia è fatto grave che mette in evidenza una questione sostenuta sempre anche sulle pagine di questo quotidiano e riguardante la “fide facienza” della cartella clinica in quanto atto pubblico.
Ho sempre sostenuto che la cartella clinica sia più atto di parte che atto fide faciente in quanto è compilata dalla parte convenuta la quale solo con questa può difendersi (da buoni intenditori, poche parole).
Tale evidenza non poteva non condurre la Suprema Corte di Cassazione, nell’ultimo ventennio, a presumere la colpa dei sanitari quando una cartella risulta “mal compilata”.

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

SCARICA QUI LA SENTENZA DELLA CORTE DI APPELLO DI ROMA

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