Secondo una perizia di parte, l’ infezione fulminante che ha portato al decesso del neonato sarebbe correlabile all’inserimento di un catetere ombelicale e alla contaminazione a opera del personale sanitario

Oltre due milioni di euro. Questo la cifra chiesta alla Asl di Chieti da una donna di 52 anni, a titolo di risarcimento per la morte del figlioletto. Il neonato era deceduto nell’estate del 2005, a causa di una infezione fulminante, appena sei giorni dopo essere venuto al mondo.

La signora, secondo quanto riportato dal Messaggero, era stata sottoposta a un taglio cesareo il 26 luglio. Il piccolo era nato all’ottavo mese di gravidanza e pesava due chili e 580 grammi. Era stato ricoverato in incubatrice nel reparto di terapia intensiva neonatale. I medici avevano ritenuto “medio discrete” le sue condizioni generali, decidendo di inserire un catetere ombelicale.

La notte del 29 luglio, tuttavia, la situazione era degenerata sino al decesso constatato il primo agosto. A causare la morte sarebbe stata una sindrome da insufficienza multiorgano per sepsi neonatale precoce fulminante da batterio Escherichia coli.

I genitori avevano presentato denuncia e la Procura aveva aperto un’inchiesta sulla vicenda. La perizia medico legale, tuttavia, aveva escluso responsabilità da parte dei sanitari, con conseguente archiviazione del caso sul fronte penale.

A distanza di 10 anni, tuttavia, la mamma aveva deciso di intraprendere una nuova battaglia, sul versante civile per essere risarcita dall’Azienda sanitaria locale.

Una nuova consulenza di parte, infatti, evidenzierebbe come, in base alla cartella clinica, la madre non presentava alcun segno di infezione.

Tale circostanza confermerebbe che “la donna non poteva “in alcun modo essere considerata veicolo del contagio”, considerato che “il parto avveniva mediante taglio cesareo”.

La sepsi in questione, a detta del perito, sarebbe invece “correlabile al posizionamento del catetere ombelicale e alla contaminazione a opera del personale sanitario”. Secondo l’esperto si tratterebbe di “una tipica infezione nosocomiale contratta durante il ricovero in ospedale”. Il medico legale chiamava quindi in causa “la responsabilità della struttura sanitaria”.

L’azione intrapresa, con la messa in mora della Asl, tuttavia, non ha avuto successo, così come la procedura di mediazione. Di qui il ricorso al Tribunale di Chieti. La donna chiede che venga accertata la responsabilità della struttura ospedaliera nonché quella professionale di tutti i sanitari che ebbero in cura il neonato.

Nell’atto di citazione in giudizio della Asl, il legale della signora evidenza come la struttura  non avrebbe adottato “tutte le misure utili e necessarie per una corretta e consapevole sanificazione, al fine di evitare la contaminazione dei pazienti a opera dei batteri nosocomiali”. Il piccolo, secondo la consulenza di parte, avrebbe contratto l’ infezione fulminante “in occasione del ricovero in terapia intensiva neonatale, e verosimilmente quando si procedeva a inserire il catetere ombelicale”. La parola passa quindi al Giudice. La prima udienza è fissata per il messe prossimo.

 

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