Il Comune deve risarcire la famiglia quando ingiustamente il figlio minore sia stato allontanato. L’ente, infatti, risponde per il danno creato dai servizi sociali che, agendo con negligenza e imperizia nel valutare i sospetti di molestie sessuali – risultati poi infondati – abbiano stabilito l’allontanamento del minore. Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, III Sezione Civile, con la sentenza n. 20928 del 16 ottobre 2010.

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La vicenda che aveva come protagonisti due coniugi lombardi i quali, in proprio e in quanto esercenti la patria potestà sui propri figli minori, convenivano dinanzi al Tribunale di Monza il comune di Nova Milanese, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti ai sensi dell’art. 2049 c.c., in relazione al comportamento illecito degli addetti ai servizi sociali, i quali– basandosi esclusivamente sulle dichiarazioni di una maestra d’asilo, che aveva ritenuto di ravvisare il sospetto di molestie sessuali da parte del padre nei confronti della figlia minore, avevano ottenuto dal Sindaco un provvedimento di allontanamento della minore dalla casa familiare, emesso ai sensi dell’art. 403 c.c., con conseguente affidamento della stessa al Comune.

Dopo diverse e più approfondite indagini, il Tribunale dei minori aveva disposto, il rientro della bambina nella famiglia d’origine fino poi, ad arrivare al definitivo decreto emesso dal Comune, di revoca di qualsiasi provvedimento di salvaguardia della stessa, per carenza di “elementi compatibili con la possibile sussistenza di molestie sessuali ai suoi danni”, né contenuti atti che facessero ipotizzare disturbi della personalità od altri aspetti patologici, come si ebbe modo di accertare nei sei mesi successivi all’allontanamento della minore dalla casa familiare. Di qui, la domanda di risarcimento danni avanzata dai genitori.

Come è facile comprendere, il settore dei servizi sociali riguarda a pieno la gestione e tutela della «persona» per cui una eventuale condotta illecita va ricompresa tra quelle lesive di interessi costituzionalmente tutelati, ovvero arrecanti un danno ingiusto secondo le coordinate generali di cui all’art. 2043 c.c. Ad essere gravemente lesi, potrebbero essere alcuni diritti costituzionalmente garantiti come il diritto dei genitori ad educare serenamente i figli (art. 30 Cost.); nel caso di minori, la tutela dell’infanzia e della gioventù (art. 31 Cost.); nel caso dei genitori, il diritto all’onore, alla reputazione, nell’eventualità in cui si verifichi la diffusione impropria di notizie. (Si veda, CENDON, Trattato dei nuovi danni, Vol. V, Informazioni erronee, soggetti deboli, illeciti informatici, danni ambientali, CEDAM, 2011, p. 531).

Sul punto, occorre premettere che la legge prevede espressamente che ai Comuni sia attribuito l’esercizio dei pubblici servizi tanto che l’art. 9 della legge n. 142/90 (sull’ordinamento delle autonomie locali, oggi abrogato testualmente riportava: «Spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che riguardino la popolazione ed il territorio comunale precipuamente nei settori organici dei servizi sociali, dell’assetto di utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze». (art. 9, l. n. 142/1990).

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Novità a tal riguardo non possono essere annoverate con l’entrata in vigore dell’art. 13 della legge n. 267/00 (T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) laddove si attribuiscono tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. Orbene, l’assistente sociale svolge la propria attività professionale prevalentemente all’interno di strutture pubbliche ed in quest’ambito la Pubblica Amministrazione diviene responsabile per l’operato del proprio ausiliare.

Il fondamento di tale responsabilità va individuata nella disciplina codicistica prevista dall’art. 2049 c.c.: responsabilità dei padroni e dei committenti. Si tratta in verità, di una ipotesi di responsabilità oggettiva per fatto illecito altrui. La particolarità della figura in esame, consiste nel fatto che non è ammessa prova liberatoria, avendo il legislatore previsto come unico presupposto di imputazione il collegamento tra fatto illecito del commesso o del preposto e l’attività svolta da quest’ ultimo nel’ambito delle incombenze cui è adibito: il c.d. nesso di occasionalità necessaria, che si realizza allorquando le mansioni affidate al commesso abbiano reso possibile o, comunque agevolato, il comportamento produttivo del danno, che sia coerente con le mansioni affidate, a nulla rilevando che la condotta lesiva sia posta in essere eccedendo dai limiti dell’incarico o addirittura in trasgressione degli ordini ricevuti.

La ratio fondante la presunzione assoluta di responsabilità in capo al committente (in questo caso il Comune) risiede nel rapporto di immedesimazione organica tra committente e commesso, per cui il primo, viene individuato quale centro di imputazione e risponde nei confronti del terzo (danneggiato) anche se la scelta del commesso sia stata rispondente a criteri di ponderata valutazione in eligendo. L’esclusione di qualsiasi prova liberatoria può, peraltro, essere giustificata perché il preponente ha in ogni caso possibilità di rivalersi nei confronti del commesso con azione di regresso, di modo che nel bilanciamento delle due posizioni (committente e terzo) il legislatore ha privilegiato il terzo danneggiato, cui in definitiva è consentito scegliere il committente quale convenuto da chiamare in giudizio per rispondere dei danni subiti (il che non esclude che il danneggiato possa convenire in giudizio il preposto in luogo del committente o entrambi a titolo di responsabilità solidale).

Ebbene, nella vicenda quest’oggi in esame, la Cassazione, si dichiara sin da subito consapevole “della delicatezza e della problematicità delle questioni oggetto di causa, nonché delle difficoltà che le istituzioni a tutela dei minori possono incontrare nel formulare ex ante, sulla base – cioè – di quanto sia possibile conoscere ed accertare a priori, il giudizio relativo alla sussistenza di situazioni di pericolo per i minori”, così come si dice pure consapevole “dei danni che potrebbero derivare dal mancato, tempestivo intervento di tutela, ove poi le accuse si rivelino fondate”, ma non può, tuttavia, fare a meno di rilevare l’assoluta imperizia e il ” …deficit di professionalità degli operatori dei Servizi sociali, evidentemente incapaci di condurre una verifica rigorosa e critica della segnalazione proveniente da un soggetto, quale una maestra d’asilo, della cui affidabilità…chiunque avrebbe avuto motivo di dubitare”; e che, peraltro, nell’aver condotto per almeno sei mesi una personale e assai discutibile istruttoria sull’ipotesi di molestie sessuali alla minore – senza coinvolgere nè i genitori nè l’autorità deputata alla repressione di tali reati (la polizia giudiziaria, il pubblico ministero presso il Tribunale ordinario)– si erano resi responsabili di un comportamento del tutto inaccettabile, “violando sia i doveri connessi alla funzione educativa che l’obbligo giuridico in capo ai pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, di denunciare reati dei quali siano venuti a conoscenza nell’esercizio delle loro funzioni“.

La Corte stessa ricorda che l’art. 9 della legge sull’adozione speciale, impone ai pubblici ufficiali, agli incaricati di pubblico servizio ed in genere al personale che venga a conoscenza di situazioni di pregiudizio per il minore di segnalare tali situazioni al procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, a cui spetta il compito si procedere alle relative indagini (cfr. Cass. civ. Sez. 1, 10 agosto 2007 n. 17648). Quello dell’allontanamento dei minori è una questione tanto complicata quanto proceduralmente complessa che coinvolge diverse figure. Il primo passaggio (c.d. segnalazione) solitamente proviene da parte di soggetti istituzionali (in primis le scuole, ma anche gli ospedali) o di soggetti significativi del territorio (medico di base, parroco, …) e dovrebbe essere sempre presentata per iscritto (condizione necessaria nel caso di soggetti istituzionali). Può anche avvenire da parte di privati cittadini, e in questo caso si richiedono le generalità.

Una volta ricevuta notizia di una presunta situazione di pregiudizio per il minore, l’assistente sociale procede ad una prima raccolta sommarie di informazioni sulla situazione, previo consenso dei genitori del minore (salvo i casi in cui potrebbe essere un rischio per la protezione del minore). Questo approfondimento può portare a quattro esiti: non ci sono rischi per il minore; c’è una situazione di rischio per cui è necessario intraprendere con la famiglia un percorso di sostegno; c’è una situazione di pregiudizio che obbliga ad una segnalazione all’autorità giudiziaria o è necessario il collocamento urgente ex art. 403 c.c[1].

In seguito ad una segnalazione la Procura minorile può, poi, chiedere al servizio sociale o socio-sanitario competente, di intraprendere un approfondimento della situazione segnalata (o la valutazione di un caso segnalato da altri soggetti). Tale richiesta può riguardare sommarie informazioni sulla situazione o un’approfondita indagine psicosociale. Sicché, quando la Procura ritiene di avere tutte le informazioni necessarie può: archiviare il fascicolo, qualora non riscontri elementi sufficienti per connotare una situazione come pregiudizievole o a rischio; inoltrare la documentazione alla Procura presso il Tribunale ordinario, qualora ravvisi una fattispecie di reato a danno del minore e ad opera di un adulto; richiedere,  con ricorso al Tribunale per i Minorenni: di dichiarare lo stato di adottabilità (art. 9, comma 2, L. 184/83); di pronunciare la decadenza o sospensione o limitazione delle responsabilità genitoriali  (artt. 330 e 333 c.c.) e/o  l’eventuale allontanamento del bambino o adolescente dalla residenza familiare; di disporre provvedimenti per la protezione assistenziale del minore che ha comportamenti devianti o esercita la prostituzione; presentare al Tribunale dei Minori, in seguito a un intervento attuato dalla pubblica autorità, la richiesta di un provvedimento urgente di allontanamento (art. 403 c.c.).

Quanto, invece, alla specifica responsabilità del Comune, gli Ermellini hanno chiarito che “il potere del Sindaco di intervenire direttamente sull’ambiente familiare ai sensi dell’art. 403 c.c., è previsto per i casi di “abbandono morale e materiale” (trascuratezza, mancanza di cure essenziali, percosse, ambiente insalubre o pericoloso, ecc.) ed in genere per situazioni di disagio minorile che siano palesi, evidenti o comunque di agevole e indiscutibile accertamento, al fine di adottare in via immediata i provvedimenti di tutela contingibili e urgenti, che si appalesino necessarie. L’autorità amministrativa non ha, tuttavia, poteri di indagine e di istruttoria sul singolo caso, in relazione a vicende delicate e complesse quali quella di cui trattasi, nata dall’interpretazione da parte di terzi delle parole – non si sa quanto spontanee o sollecitate – di una bambina di cinque anni, prive di ogni oggettivo riscontro. L’ente amministrativo, deve pertanto, rivolgersi – ovviamente con la tempestività e l’urgenza del caso – alle istituzioni specificamente competenti in materia, quali il Tribunale per i minorenni e se del caso il pubblico ministero”.

In quest’ottica, deve, dunque, ritenersi condivisibile la scelta fatta dagli attori di citare in giudizio il Comune ai sensi dell’art. 2049 c.c., sulla base cioè di una fattispecie di responsabilità che gli è addebitabile oggettivamente ed automaticamente, per effetto della sola condotta colposa dei suoi dipendenti, nell’esercizio delle specifiche incombenze a cui erano preposti e dalle quali siano derivati gravi danni al diritto degli attori all’integrità ed alla serenità del loro nucleo familiare. La Cassazione si mostra, perciò, condividere a pieno titolo la soluzione adottata dai giudici di primo e secondo grado, chiamati ad interessarsi sulle responsabilità dei protagonisti coinvolti nella vicenda, specificamente nella parte in cui condannano già in sede di giudizio di merito, la condotta posta in essere dall’ente locale, che senza alcun accertamento approfondito del caso, aveva disposto l’allontanamento del minore dalla famiglia, integrando così una responsabilità ex art. 2049 c.c.

«Nell’ipotesi in cui, su segnalazione di un insegnate, e, successivamente dei Sevizi Sociali, il Comune disponga l’allontanamento di un minore dal nucleo familiare– che il minore stessi sia stato oggetto di molestie sessuali da parte del genitore, è da ritenersi che il Comune da cui dipendono i Servizi Sociali risponda per danno ingiusto ex art. 2049 c.c. – sia nei confronti del minore, sia nei confronti del resto del nucleo familiare la cui esistenza sia stata sconvolta dalla vicenda – non solo e non tanto per l’adozione, sulla base di insufficienti presupposti, di un provvedimento radicalmente incisivo sulla sfera dei terzi, ma anche e soprattutto per la successiva adozione, da parte di suoi dipendenti, di ulteriori condotte commissive ed omissive gravemente colpose e lesive del diritti alla integrità e serenità del nucleo familiare, come il reiterato rifiuto di consentire ai genitori del minore l’incontro con quest’ultimo anche in situazione protetta, nonostante il diverso contenuto di un provvedimento del Trib. dei minori ».(Trib. Monza, 25 giugno 2007, GM, 2008, 4, 1017).

Avv. Sabrina Caporale

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1 commento

  1. https://www.change.org/p/al-parlamento-europeo-contro-sottrazione-illecita-dei-minori-da-parte-psicologi-servizi-sociali-giudici Contro sottrazione illecita dei minori. Psicologo ha sottratto il bambino solo per vedere come lui sta senza la famiglia. Un caso senza precedenti. Ogni bambino in pericolo a causa della prepotenza degli psicologi, servizi sociali e giudici. Non possiamo più tollerarlo in una società democratica. È un grande progetto per la democrazia, i diritti umani e diritti dei bambini.

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