La giusta causa di recesso non è da escludersi quando il lavoratore, rassegnando le dimissioni, continui a svolgere la propria attività lavorativa, purché nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede delle obbligazioni contrattuali e tenuto conto del suo ruolo all’interno dell’azienda

Aveva rassegnato le proprie dimissioni in data 2 aprile 2013 ma aveva, tuttavia, continuato a lavorare fino al successivo giorno 30 dello stesso mese, così osservando solo in parte il termine di preavviso fissato in 60 giorni dalle disposizioni della contrattazione collettiva.
Le dimissioni erano supportate da giusta causa, originata dal grave inadempimento contrattuale del datore di lavoro (una cooperativa sociale) che aveva omesso di corrispondergli le retribuzioni dovute per ben cinque mesi; tale giusta causa avrebbe dovuto esonerarlo dall’obbligo del preavviso.
In giudizio, aveva peraltro, negato qualsiasi volontaria prosecuzione dell’attività lavorativa, posto che si era tratta di una mera prosecuzione di fatto, per circa 30 giorni, a seguito di espressa richiesta da parte del Presidente della cooperativa, finché le sue dimissioni fossero accettate dal Consiglio.
In appello, la corte territoriale, aveva ritenuto che non potesse avere rilievo, al fine di escludere l’obbligo del preavviso, la configurabilità di una giusta causa di dimissioni, considerato che la volontaria prosecuzione del rapporto dopo le dimissioni era idonea ad escluderla.
Sulla vicenda si è pronunciata la VI Sezione Civile della Cassazione con l’ordinanza in commento (n. 7711/2019).

La giusta causa delle dimissioni

Il ricorso proposto dal lavoratore dimissionario non è stato accolto neppure nel giudizio di legittimità.
In materia, vige il principio di diritto più volte espresso dalla giurisprudenza della Suprema Corte per cui, sebbene la mancata corresponsione della retribuzione per un periodo significativo possa costituire giusta causa di dimissioni, tuttavia la stessa è da escludere nel caso in cui il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia consentito a continuare l’attività per tutto o per parte del periodo di preavviso.
In tal caso, infatti, è lo stesso comportamento concludente del lavoratore ad escludere la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione anche soltanto temporanea del rapporto.
È stato, inoltre, precisato che “la giusta causa di recesso non è da escludersi quando il lavoratore, rassegnando le dimissioni, ne abbia però posticipato l’effetto, ove ciò avvenga per rispetto dei principi di correttezza e buona fede nelle obbligazioni contrattuali, in considerazione della particolare posizione rivestita dal lavoratore nell’organizzazione aziendale e perciò dalle negative conseguenze di una immediata cessazione delle sue prestazioni” (Cass. n. 5146 del 23/05/1998).

La decisione

Tale situazione non risultava tuttavia, essersi verificata nel caso in esame, ove il ricorrente aveva continuato a prestare la sua attività lavorativa in attesa dell’accettazione delle dimissioni da parte della Cooperativa.
Una simile– concludono i giudici della Suprema Corte – non smentisce l’assunto della Corte d’appello secondo il quale la protrazione del rapporto per circa 30 giorni oltre la data il cui erano state rassegnate le dimissioni è dipesa comunque da una scelta volontaria del lavoratore e non imposta da una valutazione di insostituibilità della sua prestazione.
Per tali motivi, il ricorso è stato respinto e confermata la decisione di merito.

La redazione giuridica

 
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