Mi debbo ricollegare all’articolo pubblicato lo scorso lunedì (http://www.responsabilecivile.it/adesso-e-il-ctu-che-gioca-a-fare-il-giudice/)  ove si è analizzata una bozza di ctu inerente una responsabilità sanitaria ortopedica e della quale si criticava un solo aspetto, quello del danno differenziale.

Sul calcolo del danno differenziale si è già discusso su queste pagine nel recente 15 marzo 2016 (http://www.responsabilecivile.it/maggior-danno-danno-differenziale-ma-come-si-calcola/) e quindi invito i lettori che non lo hanno letto a farlo.

Parliamo della bozza di ctu commentata la scorsa settimana e alla quale il consulente di parte attrice faceva delle critiche a riguardo del danno differenziale accertato dal consulente tecnico. Questi accertava un maggior danno del 15% partendo dal concetto che il danno all’arto inferiore dx attuale (al momento della visita) fosse valutabile nella misura del 30%, mentre quello preesistente (risarcito in ambito RCA) era quindi del 15%.

Il CTU si esprimeva come si riporta di seguito:

“…Tale percentuale, a fronte delle condizioni di partenza, non potrà essere ristorata con un corrispettivo pecuniario calcolato con criterio differenziale”.

Nella ctu definitiva sono riportate integralmente le note critiche del ctp per cui a quelle si rimanda. Quello che si vuole evidenziare in questa riflessione sono le criticità evidenti nella risposta alle note critiche.

Prima di evidenziarle si sente la necessità di premettere che il c.t.u. non dovrebbe cercare di “orientare” le decisioni del giudice, sulla scorta di proprie opinioni personali in ordine ad argomenti che non gli competono, nel “timore” che il magistrato si possa orientare in modo difforme dal suo. Egli deve fornire al giudice un parere del tutto asettico (nel caso de quo ortopedico), non “inquinato” da proprie pseudo-conoscenze giuridiche in tema di liquidazione del danno, perché queste competono assolutamente a Lui. Quanto sopra è ancora più sacrosanto se l’opinione del ctu si fonda su giurisprudenza non ben conosciuta e studiata dallo stesso.

Con tale premessa si è già risposto alle considerazioni iniziali del ctu che invece ritiene che il consulente “deve fornire al Giudice tutti i parametri per la valutazione del caso di specie”. Tale affermazione è vera solo parzialmente in quanto i parametri richiesti dal Giudice sono riferiti da un lato alla valutazione di eventuali inadempimenti dei sanitari e dall’altro alla valutazione del danno conseguenza che da essi discende. Se poi il ctu pensa che l’ausiliario del Giudice debba fare sentenza facendo considerazioni giuridiche beh, penso che questo sia un pensiero distorto!

Il secondo punto critico delle risposte del ctu è il seguente: “…Applicare il criterio del ‘danno differenziale’ al caso di specie rappresenterebbe quindi un incongruo incremento del risarcimento in quanto un soggetto presentante oggettivamente un “minor valore” a causa di patologia preesistente riceverebbe un risarcimento superiore al soggetto sano per le stesse conseguenze dannose” .

Tale affermazione evidenzia la scarsa cultura medicolegale e giuridica del ctu in quanto ogni cittadino ha diritto al risarcito integralmente del danno ingiusto subito.

La ratio che sta nel concetto di danno differenziale è di semplice intuizione ed è riferita a due aspetti, uno relativo alla regola matematica che sta alla base delle tabelle presso ogni tribunale di Italia e cioè che il valore monetario del punto di invalidità cresce in modo esponenziale rispetto al crescere dell’invalidità, e l’altro è intrinseco nel valore economico areddituale assegnato ad ogni soggetto che è rappresentato dal suo 100% (valore che diminuisce all’aumentare dell’età).

Onde per cui se l’arto di un soggetto di 40 anni vale 60%, e quindi circa 510 mila euro, viene prima amputato del solo piede a seguito di un sinistro stradale perdendo il valore del 40% (ossia di 251 mila €) e qualche mese dopo a causa di altro fatto illecito (indipendentemente che sia un sinistro stradale o un errore medico) perde il resto dell’arto in quanto amputato al terzo medio di coscia, il secondo autore del fatto illecito dovrà risarcire al danneggiato il maggior danno del 20%.

E fin qui è tutto semplice!

Secondo il ragionamento del ctu il soggetto danneggiato, avendo avuto già risarcita la perdita del piede ed essendo due danni monocroni, non andrebbe risarcito col criterio del danno economico differenziale. Ossia al paziente il ctu risarcirebbe il corrispettivo economico pari al 20% che corrisponde a circa 70mila €.

Il tutto equivarrebbe a dire che se il soggetto 40enne avesse perso in un sol colpo un arto, sarebbe stato risarcito 510mila €, invece essendo stato sfigato per ben due volte “DEVE essere punito” abbassando il valore del suo arto a 321mila €. Il tutto significherebbe aver “derubato” il danneggiato!

Adesso tenuto a mente quanto suddetto riepiloghiamo la conclusione del CTU nella risposta alle note critiche:

“…La valutazione espressa parte dalla considerazione che il Periziando era affetto da preesistenze traumatiche ormai ampiamente stabilizzate: tali menomazioni costituiscono quindi ora, così come prima del subentrante danno iatrogeno, la condizione biologica propria del soggetto (il suo 100% per dirla grossolanamente), ovvero la sua “integrità psico-fisica” intesa come lo stato biologico proprio di ogni soggetto anche se portatore di qualsivoglia menomazione. Applicare il criterio del “danno differenziale” al caso di specie rappresenterebbe quindi un incongruo incremento del risarcimento in quanto un soggetto presentante oggettivamente un “minor valore” a causa di patologia preesistente riceverebbe un risarcimento superiore al soggetto sano per le stesse conseguenze dannose. Per estensione, e per chiarezza, invertendo l’ordine dei fattori, si potrebbe allora dire che un soggetto menomato dovrebbe essere risarcito in misura inferiore in quanto presentante, biologicamente e oggettivamente, un minor “valore” biologico. Ciò appare evidentemente contrario ad ogni logica e in contrasto con il codice civile. Vero che la Suprema Corte ebbe ad esprimersi favorevolmente alla applicazione del criterio differenziale. Ma la relativa (peraltro unica per quanto a conoscenza di chi scrive) sentenza si riferiva ad un danno iatrogeno conseguito ad incongruo trattamento di una lesione scheletrica prodotta da terzi (quindi da risarcire) la cui incongruità condizionò un peggioramento dei postumi permanenti. In tal caso, e giustamente, trattandosi di due danni monocroni, la Suprema Corte si espresse per una valutazione differenziale del danno iatrogeno. Ma si tratta di tutt’altra cosa rispetto al caso di specie per il quale le menomazioni preesistenti risultano già risarcite (anche se, contrariamente a quanto richiesto, nessun documento è stato fornito in merito)”.

Adesso, ammesso che riusciate a comprende il significato di quanto espresso dal CTU, vi sembra un ragionamento che proviene da qualcuno che ha riflettuto e che quindi possa permettersi di dare “suggerimenti al giudice? Penso di pensare bene quando rifletto su una possibile irritazione del ctu sul fatto che il periziando non si ritrova copia della ctu del sinistro stradale di 10 anni prima!

Ricordandovi di leggere anche l’articolo sul danno differenziale pubblicato il 15 marzo scorso (http://www.responsabilecivile.it/maggior-danno-danno-differenziale-ma-come-si-calcola/), dove ci sono più esempi esplicativi e ulteriori considerazioni sul danno differenziale, Vi riporto di seguito uno stralcio della sentenza di Cassazione alla quale il CTU si riferiva che è quella del 19 marzo 2014, n. 6341, la cui lettura mette in evidenza un ulteriore errore fatto dal consulente tecnico di ufficio nella sua relazione (http://www.responsabilecivile.it/adesso-e-il-ctu-che-gioca-a-fare-il-giudice/) in quanto egli ha valutato lo status preesistente sic et simpliciter senza considerare il miglioramento atteso dall’intervento chirurgico che avrebbe dovuto far parte del maggior danno da risarcire:

“…Tale danno, fermo che la situazione della integrità fisica del medesimo, in ragione di quanto ritenuto dalla c.t.u., in dipendenza della natura della lesione conseguita alla caduta e, quindi, per l’accadimento pregresso all’intervento, era ormai irrimediabilmente compromessa nella misura del 5%, esito non eliminabile in alcun modo dalla scienza medica, il danno-evento cagionato dalla cattiva esecuzione dell’intervento si è concretato nell’essere stata portata la situazione di menomazione all’integrità fisica dal 5% al 10%, là dove la prestazione medica eseguita al meglio avrebbe dovuto lasciare il ricorrente nella situazione invalidante al 5%. Il danno evento cagionato dalla cattiva esecuzione dell’intervento è, dunque, la determinazione di una situazione invalidante del 10%. La determinazione di tale situazione risulta ascrivibile alla sola cattiva esecuzione dell’intervento e lo è per essere stata l’integrità del ricorrente diminuita fino al 10%. Il danno evento così verificatosi, tuttavia, fino a concorrenza del 5%, non è imputabile alla resistente ed all’intimato perchè ciò che essi hanno determinato è sola la perdita di integrità dal 5% al 10%. Ora, nel liquidare il danno secondo il sistema tabellare, considerare l’equivalente di un’invalidità del 5% significa considerare un danno- evento diverso da quello cagionato dai responsabili, perchè la loro condotta ha cagionato il danno-evento rappresentato non dalla perdita dell’integrità fisica da zero al 5%, bensì in quella dal 5% al 10%. L’equivalente da considerare era, dunque, quello pari al 10%, ma, come correttamente prospetta il ricorrente non già nella integrità bensì solo in quello che, secondo le tabelle applicate rappresenta la differenza fra il valore dell’invalidità del 10% e quello del 5%. Di quest’ultimo, infatti – che non si sa se sia addebitabile al caso fortuito o a colpa dello stesso ricorrente in occasione della caduta da cavalo e della verificazione del trauma certamente determinanti, per effetto di cosa giudicata interna, in modo irreversibile un’invalidità fino al 5% – non debbono rispondere l’Ospedale ed il Si.. La sentenza impugnata, considerando l’equivalente dell’invalidità del 5% ha considerato, dunque, erroneamente il danno evento, che non era una perdita dell’integrità dal valore zero fino al 5%, bensì quello della perdita dell’integrità dal valore 5% al 10%.

La sentenza impugnata dev’essere, dunque, cassata sul punto in applicazione del seguente principio di diritto: “allorquando un intervento medico si esegua su una situazione di compromissione dell’integrità fisica del paziente e risulti, secondo le regole di una sua esecuzione ottimale e per quanto accertato a posteriori, che la situazione avrebbe potuto essere ripristinata soltanto in parte e non integralmente, e che, dunque, l’intervento comunque avrebbe lasciato al paziente una percentuale di compromissione della integrità, qualora la cattiva esecuzione dell’intervento abbia determinato una situazione di compromissione dell’integrità fisica del paziente ulteriore rispetto alla percentuale che non si sarebbe potuta eliminare, il danno-evento dev’essere individuato nella compromissione della integrità dal punto percentuale corrispondente a quanto non sarebbe stato eliminabile fino a quello corrispondente alla compromissione effettivamente risultante. Ne consegue che, ai fini della liquidazione con il sistema tabellare deve assumersi come percentuale di invalidità non quella corrispondente al punto risultante dalla differenza fra le due percentuali, bensì la percentuale corrispondente alla compromissione effettivamente risultante, di modo che da quanto monetariamente indicato dalla tabella per esso deve sottrarsi quanto indicato per la percentuale di invalidità non riconducibile alla responsabilità”.

 

Da buoni intenditori poche parole.

Cari lettori Vi pongo, dunque, una domanda: serve o no un buon medico legale nella valutazione del danno biologico specie se trattasi di un maggior danno?

 

 

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

SCARICA QUI LA CTU CON NOTE CRITICHE DEL CTP

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