Il Tribunale di Bologna approfondisce il tema relativo alla natura contrattuale della responsabilità ascrivibile al medico per danni cagionati al paziente

Per quanto concerne la natura contrattuale della responsabilità attribuibile al sanitario per danni cagionati al paziente nell’esercizio della sua professione, il Tribunale di Bologna, con pronuncia del 13 marzo 2018, ha fornito alcuni importanti chiarimenti.

La natura contrattuale, infatti, per i giudici del Tribunale felsineo sussiste sia nell’ipotesi in cui vi sia uno specifico e formale rapporto contrattuale tra medico e paziente, sia nell’ipotesi in cui il medico esegua la sua prestazione in adempimento del contratto di spedalità stipulato tra il paziente e la struttura sanitaria.

A tal proposito, occorre osservare un aspetto importante.

Quando si parla di responsabilità per danno risentito dal paziente in esito ad attività medico chirurgica, questo Tribunale, in merito ai fatti che si sono verificati prima dell’entrata in vigore della legge 8 marzo 2017, n. 24, non aderisce alla tesi sostenuta da parte della giurisprudenza.

Secondo quest’ultima, l’art. 3 della legge n. 189 del 2012 avrebbe immutato la natura giuridica, in precedenza ritenuta schiettamente natura contrattuale, della responsabilità del sanitario.

Questo significa che si faceva assumere, alla stessa, natura aquiliana. Ciò portava a un conseguente inasprimento dell’onere probatorio imposto a parte attrice.

In realtà, il Tribunale bolognese ha aderito all’opposta corrente di pensiero.

In base a questa, l’entrata in vigore della legge n. 189 del 2012 non avrebbe mutato i connotati salienti della responsabilità medica.

In buona sostanza essa rimane, sia per quanto riguarda il sanitario che ha operato, sia per ciò che riguarda la struttura per la quale o presso la quale il sanitario ha operato, di natura contrattuale.

È pur vero che il giudice del Tribunale felsineo non ignora altre pronunce che invece avevano affermato la natura extracontrattuale della responsabilità risarcitoria del medico dipendente e/o collaboratore della struttura sanitaria.

Laddove questi sia autore della condotta attiva o omissiva produttiva del danno subito dal paziente, con il quale però non ha concluso un contratto diverso rispetto a quello che obbliga la struttura nella quale il sanitario opera, il Tribunale specifica quanto segue.

Argomentando dall’art. 3 della c.d. Legge Balduzzi (189/2012), che – dopo aver escluso la responsabilità penale per colpa lieve per “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica” – dispone che “In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.”.

Ancora, il legislatore avrebbe innovato il consolidato quadro ermeneutico inaugurato in giurisprudenza dal celebre arresto della Cassazione 589/1999. Esso inquadrava la fattispecie nella responsabilità ex art. 1218 c.c. in base alla nota teoria del “contatto sociale”.

La giurisprudenza citata ha, di conseguenza, escluso che il richiamo all’art. 2043 c.c. di cui all’art. 3 legge n. 189 del 2012 sia frutto di sviste o errori.

Esso, risulta, invece frutto di una precisa scelta in sede di conversione del decreto legge.

Una conversione che richiamava le diverse norme di cui agli artt. 1176 e 2236 c.c.

In tale senso, si afferma, l’attrazione della materia nella responsabilità aquiliana troverebbe spiegazione nell’espressa finalità di limitare l’entità del danno risarcibile, mediante il richiamo agli artt. 138 e 139 cod. ass.. Oltre a ciò vi sarebbe la finalità di “contenere la spesa pubblica e arginare il fenomeno della “medicina difensiva” (Trib. Milano 9693/2014).

Tale diversa impostazione, imponendo un regime processuale più sfavorevole all’attore consentirebbe di realizzare un ulteriore obiettivo.

Quello cioè della deflazione del contenzioso giudiziario, e pare altresì riecheggiare il monito ad un “bilanciamento” con gli interessi economici coinvolti.

Si veda a tal proposito C. Cost. n. 235 del 2014, secondo cui “l’interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi”.

Invece, il Giudice ribadisce che la responsabilità ascrivibile al medico per danni cagionati al paziente nell’esercizio della professione sanitaria abbia sempre e comunque natura contrattuale.

In particolare, ci si avvede infatti che la struttura del rapporto è trilaterale. Nel momento in cui il paziente richiede un intervento di diagnosi e/o cura ad una struttura sanitaria, stipula sì, formalmente, un contratto con tale ente. Tuttavia l’ente esegue tale contratto tramite un medico solitamente ad esso legato da un contratto d’opera professionale.

Abbiamo perciò un rapporto paziente-struttura e uno struttura-medico, entrambi di sicura natura contrattuale; e uno – quello tra paziente e medico – che, come detto, parte della giurisprudenza e della dottrina ritengono insussistente o al più di natura extracontrattuale.

Nella prestazione tecnica medico-sanitaria appaiono pertanto inscindibili gli obblighi di prestazione, che costituiscono l’oggetto principale e diretto del contratto d’opera tra medico e struttura sanitaria, e gli obblighi c.d. di protezione della persona del paziente.

Questi ultimi, infatti, costituiscono l’oggetto principale e diretto del rapporto giuridico che si instaura in esito al c.d. contatto sociale.

E ciò in quanto non è possibile al medico adempiere i primi indipendentemente dai secondi.

Rendendo diligentemente la prestazione richiesta il medico soddisfa simultaneamente due interessi distinti.

Il primo è quello della struttura all’esatto adempimento da parte del proprio lavoratore incaricato. Il secondo è l’interesse del paziente all’esatto adempimento della prestazione richiesta alla struttura. Egli pertanto compie un unico atto adempitivo di due distinte obbligazioni.

La tesi aquiliana, viceversa, non spiega perché ad un fenomeno che nella realtà si presenta triangolare debba corrispondere una fattispecie trilaterale “aperta”, cioè amputata dell’ultimo lato.

Pertanto, nel caso di specie si parlerà di natura contrattuale della responsabilità di entrambi i convenuti e quindi soggetta pertanto al regime probatorio privilegiato di cui si è fatto cenno, e al termine prescrizionale decennale che è proprio di tale specie di responsabilità.

Ciò significa che è sufficiente per il danneggiato rappresentare di aver richiesto ed ottenuto un trattamento sanitario, comprovando il peggioramento in esito ad esso, del proprio stato di salute.

Mentre, dall’altro lato, incombe sulla parte convenuta, debitrice della prestazione di cura ed assistenza, dimostrare di aver correttamente eseguito la propria prestazione, con conseguente imputabilità a fattori esterni ed indipendenti dal proprio operato dell’avvenuto peggioramento.

In assenza di tale dimostrazione opera un criterio di preponderanza dell’evidenza

 

 

 

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