Per il fatto commesso da alcuni minori, accusati di aver condiviso dapprima via watshapp e poi, su un falso profilo social, l’immagine senza veli di una loro coetanea, il giudice ha condannato i genitori a risarcire il danno

Undici genitori citati a giudizio, dinanzi al Tribunale civile di Sulmona, per essere condannati al risarcimento di tutti i danni subiti da una minore, vittima della diffusione e pubblicazione di una sua immagine senza veli sui social network (Watshapp e Facebook).

Secondo la ricostruzione dei fatti, operata dai genitori della vittima, nel mese di gennaio 2013, un gruppo di minorenni aveva creato un falso profilo Facebook contenente una foto senza veli della loro figlia minorenne, che ella stessa si era fatta scattare da una sua amica.

Tale fotografia era stata realizzata dietro richiesta di un conoscente, il quale ripetutamente aveva invitato la giovane ragazza a fargli avere una sua foto senza intimo. L’invio della foto era avvenuto nell’estate 2012 dietro la rassicurazione del destinatario che nessun altro ne avrebbe preso visione.

Sennonché quest’ultimo la inviava ad un suo amico e poi ancora ad altri suoi conoscenti, fino a creare una vera e propria catena.

In seguito, durante le festività natalizie, l’immagine fu inserita in un falso profilo facebook creato appositamente da un gruppo di coetanei.

Di tali fatti ne vennero a conoscenza dapprima le sorelle e poi i genitori della minore, i quali immediatamente sporsero denuncia e la procura del Tribunale per i minorenni de L’Aquila aprì un fascicolo penale a carico di tutti i minori accusati.

La pubblicazione della foto della minore sul falso profilo, aveva avuto una risonanza notevole tra gli iscritti di Facebook, in quanto la foto compariva automaticamente al momento del collegamento degli amici, trattandosi di un profilo pubblico e perciò, liberamente consultabile anche da terzi estranei.

Nel corso delle indagini si scoprì che la pubblicazione era stata materialmente compiuta da due dei minori citati, ma anche gli altri, a detta dei ricorrenti, dovevano ritenersi responsabili, avendo avuto in possesso la foto della propria figlia per poi creare una vera e propria catena di cessioni attraverso l’applicazione whatapp.

Peraltro, la notizia della pubblicazione dell’immagine, aveva avuto notevole risonanza sulla stampa locale ed era divenuta di dominio pubblico.

La ragazza, aveva perciò subito un ingente danno non patrimoniale, strettamente connesso alla lesione del diritto all’immagine, alla reputazione, all’onore, alta riservatezza e all’integrità psichica.

Ella, secondo il racconto dei genitori, a seguito dell’accaduto, si era chiusa in casa, aveva perso amicizie, tanto da sviluppare una sintomatologia depressiva ed essere costretta e rivolgersi all’aiuto di uno piscologico.

Per tutti questi motivi i genitori della ragazza avevano chiesto al Tribunale di Sulmona, la condanna dei genitori (ex art. 2048 c.c..) degli undici minorenni autori del fatto, a risarcire il danno morale, psichico ed esistenziale patito dalla loro figlia, che avevano quantificato nella somma complessiva di 650.000,00 euro.

Il giudizio civile per il risarcimento del danno

Nonostante l’intervenuta assoluzione di tutti gli imputati nel parallelo procedimento penale, il Tribunale di Sulmona non ha avuto dubbi nell’affermare la concreta portata offensiva delle singole cessioni dell’immagine della ragazza senza veli, poste in essere dagli allora minorenni, dapprima mediante WhatsApp e poi, sul falso profilo Facebook, trattandosi di condotta non consentita dall’ordinamento; ed infatti, “laddove non autorizzato, l’invio a terzi di una foto ritraente l’immagine nuda di una persona lede una pluralità di interessi costituzionalmente protetti, tra cui il diritto alla riservatezza, alla reputazione, all’onere, all’immagine, alla inviolabilità della corrispondenza.

Che fosse stata la stessa vittima ad inviare la foto a terzi, su loro richiesta, per sua spontanea iniziativa, per vanità o per altra ragione poco importava. Ciò infatti, – ha aggiunto il giudice di primo grado – “non abilitava i destinatari (oppure ugualmente coloro che ne erano venuti indirettamente in possesso) a cederla in favore di altri soggetti cui l’autore della foto non avesse abilitato alla consultazione o alla detenzione”.

Essendo attinti interessi che attengono alla sfera della persona, costituzionalmente rilevanti e protetti dall’art. 2 della Costituzione, l’adito Tribunale ha perciò ritenuto risarcibile, ai sensi dell’art. 2059 c.c., il danno non patrimoniale derivato.

Per tali fatti sono stato condannati i genitori dei minori convenuti in giudizio, al risarcimento del danno in favore della minore danneggiata.

“Qualora soggetti minorenni diffondano, utilizzando mezzi telematici (WhatsApp, Facebook, etc.), fotografie contenenti l’immagine nuda di una coetanea e siffatta diffusione avvenga senza il consenso dell’interessata, devono ritenersi civilmente responsabili, ex art. 2048, comma 1, c.c., i genitori degli autori della predetta diffusione, in quanto è ad essi ascrivibile la culpa in vigilando ed in educando. La responsabilità parentale può essere esclusa, ai sensi del comma 3 dell’art. 2048 c.c., soltanto qualora i genitori dimostrino di non aver potuto impedire il fatto, dovendosi con ciò intendere che gli stessi abbiano integralmente adempiuto al dovere di educare la prole attraverso lo sviluppo nella stessa di una adeguata capacità critica e di discernimento”.

La redazione giuridica

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