Fra coperture e scoperture, la rilevanza e il ruolo degli insegnanti di sostegno secondo la Suprema Corte

Il servizio prestato nella scuola prima dell’ammissione definitiva in ruolo ha valore ai fini previdenziali e di carriera, in base al solo titolo autorizzativo primario, prescindendo quindi, anche per gli insegnanti di sostegno, dalla pure necessaria specializzazione (sostegno scolastico, base costituzionale, specializzazione, rilevanza)

In tema di insegnanti di sostegno, la sentenza 17.6.2019 n. 16174 della Sezione Lavoro della Cassazione, ha stabilito che per quanto concerne i servizi non di ruolo, prestati da questi ultimi, debba valorizzarsi il solo possesso del titolo di studio che autorizza – in generale – l’accesso alle singole classi di insegnamento (diploma o laurea, di primo livello o specialistica).

Ritiene la SC che l’art. 485 comma 6 del decreto legislativo 297/1994 che consente il riconoscimento del servizio non di ruolo prestato, senza demerito e con il possesso del titolo di studio prescritto, è applicabile all’insegnamento svolto su posto di sostegno anche se svolto in assenza del titolo di specializzazione, perché l’art. 7 comma 2 della legge 124/1999- che in tale senso si esprime- non ha carattere innovativo ed ha solo reso esplicito un precetto già desumibile dalla disciplina dettata dal TU.

Una tale argomentata conclusione – con la quale si arriva a rigettare il gravame del MIUR che riteneva applicabile ex post la disciplina più restrittiva che impone il diploma di specializzazione – si basa nell’ampio argomentato svolto in sentenza sulla interpretazione costituzionalmente orientata delle norme al vaglio della Corte, in modo tale che possa escludersi il verificarsi di disparità di trattamento e violazioni del precetto di cui all’art. 3 Cost, nella sua interezza.

Al di la però della soluzione data alla fattispecie concreta oggetto del giudizio (specificamente vertente in tema di indebito, contrastato dalla parte privata) la pronuncia in commento consente di approfondire il ruolo e la funzione del sostegno all’interno del sistema scolastico nazionale. Quella del docente di sostegno è forse la figura professionale più recente nella scuola italiana, emersa alla fine degli anni 70 dello scorso secolo per consentire e favorire l’integrazione degli alunni portatori di handicap nel momento stesso in cui si aboliva il sistema delle scuole speciali e delle classi differenziali, come si dirà anche in seguito.

Nelle intenzioni del legislatore questa figura rappresentava una risorsa fondamentale per l’attuazione universale del diritto allo studio, e per la formazione della personalità degli alunni, anche portatori di handicap.

Nella ricostruzione operata dagli ermellini – appare infatti ovvio che il diritto alla integrazione scolastica degli alunni con disabilità che trova specifico fondamento costituzionale negli artt. 2, 3, 30, 34 e 38 Cost, ha inspirato gli interventi legislativi con i quali, a partire dagli anni ’70 si è superato il principio della necessaria separazione, dagli altri, degli alunni affetti da handicap che era alla base della istituzione delle classi differenziali e delle scuole speciali.

L’attività di sostegno nella legge ordinaria

Con legge ordinaria, per quanto come già detto, con solida base costituzionale sono quindi state progressivamente aperte le classi comuni alla frequenza da parte dei disabili, con definitiva consacrazione legislativa nella legge 5.2.1992 n. 104, che aveva specificamente individuato nell’attività di sostegno, svolta da insegnanti specializzati, lo strumento principale per la realizzazione dell’integrazione.

Già dall’inizio di questa storia esisteva la consapevolezza che la preparazione propria degli insegnanti non poteva essere sufficiente per questa categoria, per i quali era necessaria una formazione specifica, affidata a particolari corsi, per l’acquisizione di specifiche competenze, tra cui assumevano particolare rilevanza l’analisi relazionale, l’autodeterminazione e la capacità di adattamento e di iniziativa sul piano interprofessionale.

In chiave evolutiva sono state individuate alcune caratteristiche peculiari che, chi voglia accedere a tale posizione è bene che abbia, ovvero la capacità di conoscere tanto la specifica situazione dell’alunno con disabilità che quella del gruppo e della comunità in cui si trova ad operare, diversificando i tempi e i modi di intervento in relazione alla natura ed all’entità della menomazione, puntando a coinvolgere l’intera comunità scolastica nel processo di integrazione.

Sempre a mente della sentenza ai sensi dell’art. 13 della notoria legge 104/92 i docenti di sostegno assumono la con titolarità delle sezioni e delle classi nelle quali operano e partecipano alla programmazione, educativa e didattica in tutte le sedi collegiali nelle quali l’attività si svolge, sicchè gli stessi costituiscono una risorsa per l’intera comunità didattica non fungendo, come pare nel comune sentire, da protesi dell’alunno disabile, giacchè l’integrazione scolastica si ottiene e si realizza anche sul piano della docenza.

Come si concilia però il dato normativo che impone la specializzazione con le conclusioni cui giunge quest’ultimo arresto?

La valorizzazione, di cui in pronuncia, anche dei periodi di lavoro svolti solo in forza del titolo autorizzativo primario per classi di insegnamento, non importa una apertura generalizzata ed indiscriminata all’accesso di insegnanti che non siano adeguatamente e specificamente formati.

Quanto sopra perché la normativa vigente configura la specializzazione per i posti di sostegno come conseguimento di una professionalità ulteriore, rispetto a quella già acquisita con il percorso di abilitazione ordinario in una prospettiva, del tutto fisiologica, di progressività per cui il titolo superiore di specializzazione presuppone, e non può prescindere da, quello inferiore che abilita al solo insegnamento.

Tanto dipende, come emerge da un’analisi grossolana della giurisprudenza amministrativa dalle peculiari esigenze di studenti per i quali l’attuazione del diritto allo studio richiede modalità di assistenza più intense e personalizzate attraverso l’introduzione dei PES.

E’ chiaro dunque – ed è questa la conclusione cui giunge anche la Cassazione – che l’utilizzazione di personale privo di titolo (di specializzazione) è possibile ma solo a condizione che i posti disponibili non possano essere coperti tutti da docenti specializzati, secondo il sistema di precedenze stabilito dalla legge stessa e comunque in via eccezionale e per far fronte a situazioni di effettiva necessità senza, lo si ribadisce, lesione del principio di uguaglianza anche in base alla valorizzazione del preruolo, come stabilito in sentenza.

Avv. Silvia Assennato

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