Il diritto dei lavoratori agricoli subordinati a tempo determinato all’iscrizione negli elenchi nominativi di cui al d.lgs. n. 212 del 1946 e alle prestazioni previdenziali, presuppone l’esistenza di un rapporto di lavoro svolto annualmente, in regime di subordinazione per un numero minimo di giornate previsto dalla legge

Il principio è stato affermato dalla Corte d’Appello di Bari pronunciandosi in materia di riconoscimento delle giornate di lavoro subordinato prestate da lavoratori agricoli (sent. n. 1928/2018).

Il Tribunale di Foggia, in qualità di giudice del lavoro rigettava la domanda proposta da una lavoratrice,  nei confronti dell’INPS per l’accredito, come operaia agricola a tempo determinato, di complessive 180 giornate nell’anno 2010 delle quali erano state riconosciute solo 49 (in sostanza risultava disconosciuto il rapporto di lavoro alle dipendenze della ditta sua datrice di lavoro) e condannava l’INPS al pagamento della sola indennità di disoccupazione maturata in relazione ai (pacifici) 49 giorni di cui sopra.

Secondo il giudice pugliese, l’onere di provare l’effettività, la durata, le caratteristiche, nonché, in particolare, la natura subordinata dell’attività lavorativa in agricoltura, grava sulla parte che sostiene di averla svolta e a tale titolo chiede l’accredito assicurativo delle giornate.

Ed invero, la ricorrente aveva soltanto affermato di avere lavorato per un certo numero di giornate alle dipendenze della ditta suindicata, senza nulla dire in ordine all’inserimento nell’organizzazione produttiva del datore di lavoro agricolo, con conseguente assoggettamento al relativo potere organizzativo, direttivo e disciplinare, estrinsecatosi nell’emanazione di ordini specifici, oltre che nell’esercizio di un’attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni lavorative; al dovere di osservare orari e turni di lavoro predeterminati; alla necessità di giustificare eventuali ritardi e assenze; alla ricezione di una retribuzione costante; alle mansioni concretamente svolte e al luogo in cui ha lavorato.

Ebbene, queste carenze rendevano inammissibile la domanda così formulata.

Anche in appello, il ricorso è stato rigettato.

Sul tema dell’onere probatorio circa l’effettiva prestazione delle giornate di lavoro, cui la legge collega il requisito contributivo necessario agli operai agricoli a tempo determinato per fruire delle prestazioni previdenziali, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato il seguente principio di diritto: 1) il lavoratore agricolo il quale agisca in giudizio per ottenere prestazioni previdenziali, ha l’onere di provare, mediante l’esibizione di un documento che accerti l’iscrizione negli elenchi nominativi o il possesso del certificato sostitutivo (ed eventualmente, in aggiunta, mediante altri mezzi istruttori), gli elementi essenziali della complessa fattispecie dedotta in giudizio (costituita dallo svolgimento di una attività di lavoro subordinato a titolo oneroso per un numero minimo di giornate in ciascun anno di riferimento); 2) soltanto a fronte della prova contraria eventualmente fornita dall’ente previdenziale, anche mediante la produzione in giudizio di verbali ispettivi, il giudice del merito non può limitarsi a decidere la causa in base al semplice riscontro dell’esistenza dell’iscrizione …, ma deve pervenire alla decisione della controversia mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi probatori acquisiti alla causa (Cass, sez. un., 26.10.2000, n. 1133).

E’ ormai acquisito che, nel caso di dubbi circa l’effettività del rapporto di lavoro o del suo carattere subordinato, il giudice non può risolvere la controversia in base al semplice riscontro dell’iscrizione, che resta pur sempre soltanto un meccanismo di agevolazione probatoria, ma deve pervenire alla decisione valutando liberamente e prudentemente la rispondenza dell’iscrizione stessa a dati obiettivi, al pari di tutti gli elementi probatori acquisiti alla causa (Cass. 2.8.2012, n. 13877).

La decisione della Corte d’Appello

A maggior ragione, l’onere assertivo e probatorio grava sul lavoratore nei casi di iscrizione negata negli elenchi nominativi ovvero di cancellazione disposta dopo una iniziale iscrizione.

È noto anche che l’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli svolge una funzione di agevolazione probatoria ai fini dell’attribuzione di prestazioni previdenziali che viene meno qualora l’INPS, a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza del rapporto di lavoro, esercitando la facoltà di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 375 del 1993. Ne consegue che, in tal caso, il lavoratore ha l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all’iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale, fermo restando che, nella controversia avente ad oggetto la prestazione previdenziale, lo status di lavoratore agricolo può essere accertato solo incidentalmente. Cass. 11.2.2016, n. 2739

In altre parole, poiché le annotazioni aziendali devono riflettere le assunzioni effettive, le stesse annotazioni sono funzionali, anzi indispensabili, a fornire un’apparenza di regolarità nei casi di falsi ingaggi.

Ne deriva che non è sulle registrazioni e sulle denunce aziendali concernenti la manodopera che può congruamente fondarsi il convincimento circa l’effettivo svolgimento dell’attività aziendale per il tramite dei lavoratori annotati.

È per tali ragioni che la Corte di Appello di Bari, Sezione lavoro, ha definitivamente, rigettato l’appello della ricorrente confermando il giudizio di merito del Tribunale foggiano.

 

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