Grazie alla positiva rivalutazione dell’1,1% le pensioni cresceranno nel 2018, recuperando la perdita del potere d’acquisto registrata negli ultimi anni

Le pensioni cresceranno nel 2018. La buona notizia – che arriva dopo due anni di stop agli aumenti – è dovuta all’incremento stabilito dal decreto ministeriale del 20 novembre, pubblicato sulla GU n. 280/2017.
Il decreto recepisce il dato relativo al tasso di inflazione comunicato dall’Istat nei primi nove mesi del 2017. In base a questo, le pensioni cresceranno nel 2018 per recuperare la perdita del potere d’acquisto registrata nei due anni precedenti.
Sulla base del decreto, l’Istituto di previdenza provvederà a ricalcolare gli assegni in pagamento dal prossimo mese di gennaio.

Il decreto stabilisce, infatti, all’art. 1 che la percentuale di variazione per il calcolo della perequazione è determinata in misura pari a + 1,1% dal 1° gennaio 2018.

Ciononostante, recita il successivo art. 2, questo avverrà “salvo conguaglio, da effettuarsi in sede di perequazione per l’anno successivo.
Ma in quanto consisterà questa maggiorazione sugli assegni pensionistici?
Per effetto della rivalutazione, l’aumento previsto sarà minimo.

Questo verrà calcolato su un arco di 12 mesi e potrebbe fruttare dai 70 ai 260 euro in più. Secondo le analisi effettuate dal Sole24Ore, per chi incassa circa mille euro lordi, l’aumento ammonterà a soli 11 euro.

Mentre, invece, salirà a 16,72 per chi percepisce 1.600 euro (lordi), salendo ancora a circa 17 per chi ha un assegno di almeno 2100 euro. E così via.
Il massimo aumento per le pensioni consisterà in 260 euro annuali per le pensioni più alte.
Rapportato all’intero anno, quindi tredicesima compresa, significa che chi riceve la pensione minima avrà poco meno di 72 euro in più; chi intasca 13mila euro all’anno, ne riceverà 143 in più.
Tuttavia, anche se le pensioni cresceranno nel 2018, questo non ha modificato la posizione critica della Cgil nei confronti del quadro normativo generale. Specie per quanto riguarda l’età pensionabile, che vede l’Italia – come certificato dal Censis – al secondo posto dopo la Grecia.
 
 
 
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