Dopo l’entrata in vigore della legge n. 124/2017, la questione della distinzione tra danno morale e danno biologico non è più affare della giurisprudenza. La soluzione è stata offerta dal legislatore che ha proteso per la strutturale distinzione tra le due voci di danno

I giudici della Cassazione (n. 2788/2019) approfittando della vertenza giudiziaria in esame, hanno fatto il punto in materia di risarcimento del danno non patrimoniale, alla luce delle novità introdotte dalla legge n. 124/2017. Nella stessa pronuncia hanno anche affrontato il tema della personalizzazione del danno e dell’utilizzo dei criteri forfettari indicati dalle tabelle milanesi.

La vicenda

Ancora un ospedale citato in giudizio per riparare i danni di un intervento chirurgico mal eseguito.

L’attrice aveva chiesto il risarcimento di tutti i danni (ivi compreso quello biologico e morale) da lei subiti a seguito di un intervento chirurgico effettuato per il trattamento di un’ernia al disco, cui seguiva una seconda operazione, solo parzialmente riparatrice della prima, con conseguente necessità di sottoporsi a significative cure terapeutiche e farmacologiche in chiave terapeutica.

Soltanto in primo grado la donna vedeva accolta la sua domanda, perché all’esito del giudizio d’appello, avviato su ricorso dalla struttura sanitaria convenuta, la pronuncia di risarcimento veniva sostanzialmente modificata.

La liquidazione del danno in suo favore veniva ridotto in ragione dell’accertata riduzione della misura di invalidità permanente. Dal quantum risarcitorio rimaneva escluso, altresì, il danno da lesione del rapporto parentale in favore del coniuge, stante l’assenza di microlesioni; accolto, invece, il danno da lesione del diritto al consenso informato.

Seguiva perciò, il ricorso per Cassazione.

Come anticipato, interessante è il giudizio operato dai giudici della Suprema Corte in materia di danno patrimoniale e danno morale.

Occorre premettere che l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) la fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante) e del danno non patrimoniale.

La natura unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, deve essere interpretata, sul piano delle categorie giuridiche, nel senso che segue:

a) di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;

b) di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, ai fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative “in peius” della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, facendo particolare attenzione ad evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo.

Per tale operazione è necessario che il giudice effettui una compiuta istruttoria che si concretizzi in un accertamento concreto e non astratto del danno, a tal fine dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni.

Detto in altri termini, nel procedere all’accertamento e alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito deve tener conto non solo dell’insegnamento della Corte costituzionale, espresso nella sentenza n. 235 del 2014, ma anche del recente intervento del legislatore sugli artt. 138 e 139 codice delle assicurazioni come modificati dall’art. 1, comma 17 della legge n. 124/2017, la cui nuova rubrica (“danno non patrimoniale” sostitutiva delle precedente “danno biologico”) e il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale da quello morale.

Ne deriva che il giudice deve congiuntamente, ma distintamente valutare la compiuta fenomenologia della lesione non patrimoniale e cioè tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale) quanto quello dinamico-relazionale (destinato a incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).

Con l’introduzione della legge n. 124/2017, la questione relativa alla presunta o effettiva diversità del danno morale da quello biologico è stata definitivamente risolta, in tal modo sottraendo alla giurisprudenza delle Sezioni Unite, l’annosa questione.

La soluzione è stata quella di distinguere in maniera netta e strutturale due voci di danno: il danno morale da una parte e il danno dinamico-relazionale dall’altra.

La valutazione del danno in caso di lesione del diritto alla salute

Ne consegue che nella valutazione del danno alla persona, da lesione della salute (art. 32 Cost.), si pensi alle ipotesi come quella in esame, di responsabilità medica, il giudice dovrà valutare, caso per caso, tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso), quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale (che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce “altro da sé”).

È bene precisare che il principio appena enunciato ha portata generale, potendosi applicare non solo ai casi di danno alla salute, ma anche a tutte le altre ipotesi in cui risulti violato un interesse o un diritto costituzionalmente garantiti dell’individuo.

La personalizzazione del danno

Per la quantificazione del risarcimento, il giudice può orientarsi in due modi: o applicando la misura standard prevista dalla legge o conformandosi al criterio equitativo del cd punto variabile indicato nelle tabelle milanesi.

Va tenuto presente che, in ogni caso, la misura stabilita da tali criteri può essere aumentata nella sua componente dinamico-relazionale, in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e affatto peculiari: al contrario, le conseguenze del danno da ritenersi normali e indefettibili secondo l’”id quod plerumque accidit” (ossia quelle che qualunque persona con la medesima invalidità ovvero lesione non potrebbe subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

In questo senso i giudici della Cassazione ribadiscono che, i valori tabellari utilizzati quale parametro per la quantificazione del danno (in termini monetari) da parte dei giudici di merito, devono essere diretti unicamente alla riparazione delle conseguenze “ordinarie” inerenti cioè ai pregiudizi che qualunque vittima di lesioni analoghe normalmente patirebbe.

Qualora invece ci si trovi di fronte a specifiche e peculiari circostanze di fatto (“extra-ordinarie”), il giudice è legittimato a “personalizzare” il danno (derogando alla misura standard contenuta nelle tabelle) ma in tal caso è tenuto a darne adeguata motivazione in sentenza, coerentemente con le risultanze argomentative e probatorie emerse nel giudizio.

Dunque non danno esistenziale e danno biologico, ma danno morale e danno dinamico-relazionale. È quest’ultima l’unica distinzione ammissibile nel nostro ordinamento. Soltanto in questo modo ci si sottrae dal rischio di ricadere in inutili duplicazioni risarcitorie.

La redazione giuridica

 

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