Morire di legionellosi si può, è accaduto recentemente a Bologna. Ma che cos’è e come si trasmette questa malattia infettiva?

Morire di legionellosi è ancora possibile. Un uomo di 59 anni è deceduto dopo un trapianto di reni all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna.
In corso gli accertamenti del caso per verificare se l’uomo ha contratto prima o dopo l’intervento la legionellosi e se si sia infettato in ospedale.
Dal Sant’Orsola spiegano che è attivo un programma di sorveglianza e controllo del rischio legionella. Le reti di distribuzione dell’acqua calda sanitaria sono infatti dotate di un sistema di disinfezione a base di biossido di cloro, il cui livello “viene controllato quotidianamente” da una ditta esterna incaricata.

Cosa c’entra l’acqua?

La legionellosi è un’infezione polmonare causata dal batterio legionella.
Esistono più di 50 specie di questo batterio, la più rilevante dal punto di vista epidemiologico, in quanto maggiormente implicata nella legionellosi, è la pneumophila.
Il batterio si trova in natura in tutti i bacini d’acqua dolce e nei serbatoi d’acqua o nei sistemi di condizionamento, nelle piscine e nelle fontane decorative.
La presenza in bacini d’acqua naturali come laghi o fiumi, di per sé non costituisce un pericolo per l’uomo, anche per la limitata concentrazione del batterio in questi luoghi.
La proliferazione in bacini artificiali rende invece più probabile la manifestazione della malattia.
Il batterio della legionella vive e prolifera tra i 20 e i 45 gradi, sono quindi soggetti alla contaminazione ambienti umidi e tiepidi o riscaldati.
La resistenza ambientale di questo batterio è molto elevata. Alcuni microorganismi sono stati rinvenuti vitali dopo diversi anni di conservazione in acqua refrigerata.
Aumentano il rischio di legionella sedimenti organici, ruggini o depositi di materiali sulle superfici dei sistemi di stoccaggio e distribuzione delle acque.

Come si trasmette e quali sono i sintomi?

La legionellosi si prende per via aerea mediante inalazione, aspirazione o microaspirazione di aerosol (sospensione di particelle costituite da minuscole goccioline di acqua) contenente il batterio.
Possibili anche casi di contaminazioni per istallazione diretta del batterio nei polmoni, ad esempio durante manovre chirurgiche.
Il contagio non avviene da persona a persona ma attraverso acqua contaminata o flussi di aerosol, attraverso l’aria condizionata che trasporta facilmente i batteri o con l’uso di umidificatori.
I sintomi tipici della legionella sono: febbre, dolori al torace, tosse secca o grassa, perdita di appetito, malessere generale e brividi.
La diagnosi avviene attraverso specifici test di laboratorio, in quanto i sintomi sono assimilabili ad una normale polmonite. I test comunemente utilizzati per la prognosi sono la radiografia del torace, test di funzionalità renale completate con isolamento del batterio in coltura e la ricerca dell’antigene di legionella nell’urina e titolo anticorpale.
Sono maggiormente soggetti al contagio individui con scarse difese immunitarie, proprio come il paziente morto dopo il trapianto.
Fattori di rischio sono anche l’età avanzata, il fumo di sigaretta, malattie respiratorie croniche, ospedalizzazione, interventi chirurgici o immusoppressione.
Esistono due principali forme di questa infezione polmonare. La malattia del legionario che include una forma acuta di polmonite e la febbre Pontiac, che è una forma meno grave.
La malattia del legionario è chiamata così dall’epidemia di polmonite che si verificò a Philadelphia nel 1976 tra i partecipanti ad un raduno di veterani di guerra. Si cura attraverso una terapia farmacologica.
La febbre di Pontiac va invece via da sola senza trattamento e non provoca problemi persistenti.
Per le polmoniti nosocominali (cioè quelle contratte negli ospedali), secondo le stime, la legionella è responsabile nel 10-50% dei casi.

Il tasso di mortalità

La legionellosi può portare a una serie di complicanze pericolose per la vita tra cui deficit respiratorio, shock settico (ridotto flusso di sangue agli organi) e insufficienza renale.
Il tasso di mortalità della legionellosi indicato dal portale dell’epidemiologia si aggira tra il 5% e il 10%. Il tasso varia dal 40-80% nei pazienti immunodepressi non trattati, al 5-30% in caso di un appropriato trattamento della patologia.
La mortalità dipende da alcuni fattori specifici: la gravità della malattia, l’appropriatezza del trattamento antibiotico iniziale, il luogo in cui è stata contratta l’infezione e le condizioni pregresse del paziente.

Parola d’ordine: prevenzione

Questa infezione polmonare, spiega l’Iss, “pone un serio problema di salute pubblica.
Costituisce un elemento di rischio in tutte le situazioni in cui le persone sono riunite in uno stesso ambiente (case di cura, ospedali, piscine e terme e altri luoghi pubblici).
Ambienti in cui sono in funzione un sistema di condizionamento, umidificazione, trattamento dell’aria o ricircolarizzazione delle acque”.
La legionellosi è sottoposta a sorveglianza speciale da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dalla Comunità Europea (European Legionnaires’ Disease Surveillance Network – ELDSNet) e dall’ISS.
Il D. Lgs. n. 81/08 ha previsto le linee guida rivolte ai gestori di strutture turistico ricettive, di strutture ad uso collettivo e di strutture sanitarie e termali.
Le linee guida stabiliscono l’obbligo di far effettuare una Valutazione del Rischio Biologico ed elaborare un Piano di Autocontrollo e Gestione del Rischio che deve essere specifico per la struttura, al fine di evitare la contaminazione dal batterio legionella.
Si deve inoltre istituire il Registro degli Interventi e fare delle Analisi mocrobiologiche periodiche (almeno 2 volte l’anno).
Linee guida sono stabilite a partire dal 2015 anche in tutela di tutti i lavoratori a contatto con impianti idrici, di riscaldamento o condizionamento.
La legionellosi si debella solo con la prevenzione. È importante tenere sotto controllo bacini di raccolta delle acque, tubature e sistemi di condizionamento al fine di evitare la proliferazione del batterio legionella pneumophila, salvaguardando la salute pubblica fuori e dentro casa.
 

Barbara Zampini

 
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