I licenziamenti per giusta causa devono essere adeguatamente motivati e supportati da esigenze che rendono improrogabili il protrarsi del rapporto lavorativo

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9895/2018 si è pronunciata sulla legittimità dei licenziamenti di due lavoratori determinati da uno stato di crisi aziendale. La società datrice, in particolare, aveva intimato il provvedimento a due ispettori commerciali. La decisione veniva giustificata con la necessità dell’impresa di contenere i costi produttivi di gestione mediante una riorganizzazione aziendale, causa della soppressione dei posti.

Il licenziamento era stato immediatamente impugnato dai due dipendenti. Le loro istanze erano state accolte sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello che avevano dichiarato l’illegittimità del provvedimento disponendo il reintegro dei lavoratori. Il Giudice di secondo grado, in particolare, aveva evidenziato come l’azienda non avesse provato adeguatamente “il giustificato motivo oggettivo” posto alla base dei licenziamenti. Il datore, infatti, aveva manifestato la necessità di accorpare le aree commerciali per far fronte alla crisi, con conseguente soppressione di quelle meno produttive. Tuttavia non aveva provato “che l’area affidata ai ricorrenti fosse meno performante delle altre”.

L’impresa datrice decideva quindi di ricorrere davanti alla Suprema Corte di Cassazione. L’impugnante lamentava, tra gli altri motivi, che l’attività di indagine dei giudice del merito avrebbe dovuto limitarsi alla effettività della soppressione del posto di lavoro. Non avrebbe invece dovuto spingersi a valutare la natura dei motivi e dei presupposti presi in considerazione dal management aziendale per la realizzazione di detta organizzazione.

La Cassazione, tuttavia, non ha ritenuto di accogliere tali argomentazioni.

Nel richiamare la giurisprudenza di legittimità gli Ermellini hanno chiarito che “deve sempre essere verificato il nesso causale tra l’accertata ragione inerente l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro come dichiarata dall’imprenditore e l’intimato licenziamento in termini di riferibilità e di coerenza rispetto all’operata ristrutturazione”. Ove il nesso manchi, “si disvela l’uso distorto del potere datoriale, emergendo una dissonanza che smentisce l’effettiva ragione addotta a fondamento del licenziamento”.

I Giudici di Piazza Cavour hanno inoltre sottolineato  la necessità che: la riorganizzazione sia effettiva; si ricolleghi causalmente alla ragione dichiarata dall’imprenditore; il licenziamento si ponga in termini di riferibilità e  coerenza rispetto all’operata ristrutturazione.

In conclusione, dunque, il licenziamento per giusta causa deve essere adeguatamente motivato e supportato da esigenze che rendono improrogabile il protrarsi del rapporto lavorativo. Le cause possono dipendere sia da elementi soggettivi legati alla condotta del, sia da fattori di natura economica attinenti alla crisi aziendale.

Nella seconda ipotesi, evidenzia la Cassazione, le ragioni produttive ed organizzative del lavoro, di fatto, costituiscono solo una causa del licenziamento. Esse non integrano la soppressione del posto di lavoro. Tuttavia, non possono essere aprioristicamente escluse da quelle attinenti ad una migliore efficienza produttiva.

E’ il giudice di merito a dover  verificare la reale sussistenza e fondatezza di tali ragioni. La loro assenza determina l’illegittimità della cessione del rapporto lavorativo. Nel caso esaminato, la Corte territoriale aveva appurato la mancanza di tali motivazioni. Di qui  il rigetto del ricorso.

 

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