In tema di licenziamento orale il lavoratore ha l’onere di provare, quale fatto costitutivo della sua domanda, che la risoluzione del rapporto di lavoro è ascrivibile alla volontà del datore di lavoro, anche se manifestata con comportamenti concludenti

La vicenda

La Corte di Appello di Genova, aveva dichiarato l’inefficacia del licenziamento verbale intimato ad un dipendente e condannato il datore di lavoro a reintegrarlo e a corrispondergli un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione, oltre accessori.

In relazione al licenziamento orale, la Corte di merito aveva affermato che “la cd. estromissione del lavoratore dal posto di lavoro inverte l’onere probatorio, ponendo a carico del datore, l’onere di provare un fatto estintivo del rapporto diverso dal licenziamento. Pertanto per il lavoratore è sufficiente dimostrare l’intervenuta cessazione del rapporto di lavoro mentre è onere del datore di lavoro dimostrare che il rapporto è venuto meno per ragioni diverse”.

Nel caso in esame, dato che la società non aveva in alcun modo dimostrato che il rapporto fosse cessato per ragioni diverse dal licenziamento, la Corte di merito ha ritenuto che il dipendente fosse stato licenziato oralmente.

Il ricorso per Cassazione

Con un unico motivo di ricorso la società ricorrente contestava la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.”.

A suo avviso, “l’inversione dell’onere probatorio non può trovare applicazione, laddove il lavoratore si faccia carico di dare la prova del licenziamento orale e la prova non dia esito positivo”.

Il motivo, è stato accolto perché conforme al ribadito principio di diritto secondo cui :” Il lavoratore subordinato che impugni un licenziamento allegando che esso sia stato intimato senza l’osservanza della forma prescritta ha l’onere di provare, quale fatto costitutivo della sua domanda, che la risoluzione del rapporto di lavoro è ascrivibile alla volontà del datore di lavoro, anche se manifestata con comportamenti concludenti; la mera cessazione nell’esecuzione delle prestazioni non è circostanza di per sé sola idonea a fornire tale prova. Ove il datore di lavoro eccepisca che il rapporto si sia risolto per le dimissioni del lavoratore, il giudice sarà chiamato a ricostruire i fatti con indagine rigorosa – anche avvalendosi dell’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio ex art. 421 c.p.c. – e solo nel caso perduri l’incertezza probatoria farà applicazione della regola residuale desumibile dall’art. 2697 c.c., comma 1, rigettando la domanda del lavoratore che non ha provato il fatto costitutivo della sua pretesa” (Cass. n. 3822 del 2019; conf. Cass. n. 13195 del 2019; v. pure Cass. n. 31501 del 2018).

Aveva errato allora la Corte territoriale ad affermare che in tema di licenziamento orale “per il lavoratore è sufficiente dimostrare l’intervenuta cessazione del rapporto di lavoro mentre è onere del datore di lavoro dimostrare che il rapporto sia venuto meno per ragioni diverse”; essendo in contrasto con la citata regula iuris.

Il ricorso è stato perciò, accolto e cassata con rinvio al decisione impugnata.

La redazione giuridica

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