Il licenziamento per giustificato motivo deve essere coerente con la situazione aziendale e non pretestuoso, pena la sua invalidità

Si parla di licenziamento per giustificato motivo oggettivo o anche detto licenziamento per motivi aziendali, quando esso è determinato da cause attinenti all’attività produttiva, all’organizzazione interna o al regolare funzionamento di essa. A volte le motivazioni possono essere di tipo economico, altre volte di tipo meramente organizzativo o funzionale.

Il caso

La responsabile del settore marketing di una azienda italiana veniva licenziata per giustificato motivo. La società, sua datrice di lavoro, aveva dichiarato che per esigenze di riorganizzazione interna, vista anche il grave stato economico in cui versava, la dipendente non avrebbe potuto più continuare a svolgere la sua attività all’interno dell’azienda.

Quest’ultima si rivolgeva pertanto al giudice civile per vedere riconosciuti i suoi diritti. In particolare, la dipendente lamentava l’inesistenza dei presupposti di legge per il licenziamento.

E il Tribunale accoglieva il suo ricorso, condannando la datrice di lavoro a corrispondere in suo favore l’indennità supplementare dirigenziale nella misura minima di dieci mensilità, nonché al pagamento della differenza a titolo di indennità sostitutiva del mancato preavviso oltre al pagamento delle ferie non godute e gli accessori di legge.

Anche in secondo grado, i giudici territoriali riconoscevano le sue ragioni.

In effetti, il datore di lavoro non aveva dimostrato che il licenziamento fosse effettivamente giustificato dalla asserita, sopravvenuta, esigenza di riorganizzazione delle competenze dei singoli dipartimenti (nel caso in esame, mediante avocazione al Consiglio di amministrazione delle funzioni pertinenti al marketing); non avendo egli, neppure assolto all’onere probatorio, su di lui gravante, della sussistenza delle ragioni addotte a giustificazione della soppressione della figura dirigenziale della direzione del Marketing, ossia la notevole contrazione del livello del fatturato registrato dall’azienda nell’ultimo anno. I dati contabili prodotti in giudizio, al contrario, dimostravano una posizione commerciale della società florida, in espansione e comunque ben differente da quella enunciata nella missiva di licenziamento.

Evidenziavano, poi, come l’indimostrata esigenza della società di procedere ad una significativa riduzione dei costi aziendali non era coerente con l’assunzione, nello stesso periodo di altri dirigenti, tra i quali uno, destinata al settore marketing.

Se ne deduceva che le circostanze enunciate nella motivazione del licenziamento erano del tutto inconsistenti e che, pertanto, la donna aveva diritto all’indennità supplementare prevista dall’art. 19 del C.C.N.L., già riconosciutele in primo grado.

Il ricorso in Cassazione

I giudici della Suprema Corte di Cassazione, ricordano che “in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ricondotto a ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice – che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. – il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’effettività delle ragioni che giustificano l’operazione di riassetto” (cfr. Cass. 14.5.2012 n. 7474 e, da ultimo, Cass. 7.12.2016 n. 25201).

Quanto al caso in esame, era evidente la pretestuosità del licenziamento. Nella missiva inviata alla dipendente si era fatto riferimento all’esigenza di riduzione dei costi e diminuzione del fatturato, che non erano state, tuttavia, ritenute provate in relazione allo stato della società, florida in quel momento, né con la decisione di assumere altri dirigenti.

 

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