La questione di fondo, la si chiarisce immediatamente, è la seguente: nell’ambito della concessione di un mutuo fondiario, può una banca mutuare una somma di molto maggiore rispetto a quella necessaria per l’acquisto dell’immobile oggetto di compravendita e poi chiedere una fideiussione per tale somma?

Si supponga il caso in cui il cliente di un istituto bancario si rivolga allo stesso per ottenere un mutuo fondiario per l’acquisto dell’immobile il cui prezzo è, in ipotesi, di € 80.000,00.

Supponiamo, altresì, che il cliente dell’Istituto abbia altri pregressi debiti che sta onorando ratealmente, accesi con alcune società finanziarie, e che in vista dell’acquisto della casa, decida di approfittare dell’occasione per sanare, con l’utilizzo del mutuo, anche le pregresse posizioni debitorie.

Immaginiamo, quindi, che chieda alla banca un mutuo per l’ipotetica somma di € 130.000,00, con l’intenzione di utilizzarne 80.000,00 o poco più per l’acquisto dell’immobile ed il resto per saldare integralmente i suoi pregressi debiti. Ipotizziamo, infine, che il mutuo venga concesso come mutuo per acquisto prima casa (mutuo fondiario).

Nel nostro immaginario caso, la banca finanzia l’acquirente, pur sapendo (o dovendo ben sapere, perché, ad esempio, l’immobile non necessitava di ristrutturazione) che la somma mutuata per l’acquisto dell’immobile, in parte sarà utilizzata dal mutuatario anche per altri scopi diversi dal quelli per cui il mutuo effettivamente è stato concesso. La situazione, d’altro canto, è palese: prezzo dell’immobile € 80.000,00, mutuo concesso per € 130.000,00.

Cosa succede se, all’atto della stipulazione del contratto di mutuo, contestualmente alla richiesta di prestare garanzia fideiussoria rivolta ad un terzo, né l’acquirente né la banca erogatrice del mutuo comunicano al fideiussore la situazione economica del mutuatario e, al contrario, tacciono sulla sproporzione tra la somma mutuata e quella che in verità sarebbe stata sufficiente per l’acquisto immobiliare, nascondendo l’ulteriore destinazione delle somme concesse dalla Banca e che il fideiussore si prestava a garantire?

Il realtà, casi di questo genere occupano spesso i nostri tribunali.

Prima di concedere mutui le banche dovrebbero verificare che l’immobile (sul quale verrà iscritta ipoteca) abbia un valore che sia sufficiente a garantire, perlomeno, la restituzione del capitale, degli interessi e di ogni spesa. Di regola, le banche, anche in virtù di specifiche prescrizioni degli enti deputati (Banca d’Italia) possono concedere mutui per un ammontare massimo pari all’80% del prezzo concordato per l’acquisto.

La materia del mutuo fondiario, infatti, è regolata dall’articolo 38 del Testo unico bancario, il quale prevede che per aversi credito fondiario occorre che il finanziamento sia contenuto entro un certo limite di importo, stabilito dalla Banca d’Italia.

Tale limite è stato definito con deliberazione del Cicr (Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio) del 22 aprile 1995, con la quale è stato sancito che l’ammontare massimo dei finanziamenti di credito fondiario è pari all’80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi; e che tale percentuale può essere elevata fino al 100% solo qualora vengano prestate garanzie integrative rappresentate, ad esempio, da fideiussioni bancarie e assicurative o da polizze di compagnie di assicurazione.

Stabilisce testualmente la Deliberazione 22 aprile 1995 – Attuazione dell’art. 38, comma 2, del Decreto Legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo Unico sulle leggi in materia bancaria e creditizia). Credito fondiario: “Ravvisata l’esigenza che, per quanto concerne l’ammontare massimo dei finanziamenti in rapporto al valore della garanzia, sia fissato un limite unico per tutte le particolari operazioni di credito, in coerenza con la razionalizzazione normativa compiuta dal testo unico, Il Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio delibera l’ammontare massimo dei finanziamenti di credito fondiario è pari all’80 per cento del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi. Tale percentuale può essere elevata fino al 100 per cento, qualora vengano prestate garanzie integrative, rappresentate da fideiussioni bancarie e assicurative, polizze di compagnie di assicurazione, cessioni di annualità o contributi a carico dello Stato o di enti pubblici, fondi di garanzia e da altre idonee garanzie, secondo i criteri previsti dalla Banca d’Italia.”

Oggi, come si sa, raramente le banche concedono oltre il 50 o il 60%% della somma necessaria per l’operazione. Ma in passato, prima della famosa crisi dei mutui sub-prime, non solo accadeva che le banche finanziassero l’intero prezzo, ma spesso erano di manica ancora più larga, ed in spregio alle indicate normali regole, concedevano un mutuo ben maggiore rispetto al prezzo concordato per l’acquisto.

Mentre la Banca era normalmente consapevole della situazione (avendo piena contezza delle somme, dei prezzi e dei costi) ed, anzi, era proprio per questa ragione che chiedeva un’altra garanzia, ben sapendo che quella ipotecaria sull’immobile non era certamente sufficiente a salvaguardare le sue, ragioni creditorie, il fideiussore spesso era totalmente ignaro sia delle posizioni debitorie del mutuatario sia del fatto che la Banca stava concedendo un mutuo di molto maggiore rispetto a quello necessario per consentire l’acquisto dell’immobile.

In pratica, quando la banca iscriveva ipoteca sapeva già che garanzia ipotecaria era solo teorica, ma in nessun caso sufficiente per tutelare il recupero del capitale, degli interessi e delle varie spese, e ciò in quanto ben conosceva i valori reali dell’immobile ipotecato.

Di tutta questa operazione il fideiussore spesso non era messo al corrente, anzi il tutto gli veniva opportunamente nascosto, chiaro essendo che mai egli avrebbe prestato la garanzia sapendo che non avrebbe potuto rivalersi sull’immobile nel caso in cui fosse stata escussa nei suoi confronti la fideiussione e che mai, per il fatto del creditore, avrebbe potuto surrogarsi nei diritti della banca (pegno, ipoteche e privilegi).

Capitava, dunque, che la banca concedesse un mutuo non sulla base della capacità dei mutuatari di rimborsare le somme, né tantomeno sulla effettiva possibilità di recuperare il proprio credito con l’esecuzione immobiliare, ma unicamente sul presupposto dell’esistenza della fideiussione, di fatto l’unica garanzia idonea a soddisfare il proprio credito, e non certamente dei beni ipotecati.

In sostanza, nel momento in cui la Banca chiedeva la fideiussione essa aveva già preventivato che, in caso di inadempimento dei mutuatari (talvolta già ipotizzabile, visti i redditi e le posizioni debitorie pregresse), l’unica soluzione per rientrare del proprio credito era quella di escutere, magari a distanza di anni, all’esito della insoddisfacente esecuzione immobiliare, il fideiussore.

Quale possibile tutela allora per il “povero” fideiussore? L’art. 1955 e 1956 c.c. prevedono due casi di estinzione della fideiussione.

L’art. 1955 c.c., che, peraltro, può formare oggetto di una rinuncia convenzionale da parte del fideiussore, stabilisce che “La fideiussione si estingue quando, per fatto del creditore, non può avere effetto la surrogazione del fideiussore nei diritti, nel pegno, nelle ipoteche e nei privilegi del creditore”.

Al riguardo, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che il fatto del creditore rilevante ai sensi dell’art. 1955 cod. civ. ai fini della liberazione del fideiussore, non può consistere nella mera inazione, ma deve costituire violazione di un dovere giuridico imposto dalla legge o nascente dal contratto e integrante un fatto quanto meno colposo, o comunque illecito, dal quale sia derivato un pregiudizio giuridico, non solo economico, che deve concretizzarsi nella perdita del diritto (di surrogazione ex art. 1949 cod. civ., o di regresso ex art. 1950 cod. civ.), e non già nella mera maggiore difficoltà di attuarlo per le diminuite capacità satisfattive del patrimonio del debitore.

Nel nostro immaginario caso, per invocare l’applicabilità dell’art. 1955 c.c., occorre dimostrare (con ogni mezzo consentito dall’ordinamento, ivi compreso il ricorso a presunzioni, secondo le regole generali stabilite dagli artt. 2727 e 2729 c.c.: cfr. Cass. civ. Sez. I, 01/10/2012, n. 16667 in CED Cassazione, 2012) che il comportamento della banca era contrario a buona fede, per le ragioni che sopra si sono ipotizzate, e che la violazione di tale dovere giuridico ha determinato la perdita del diritto di surrogazione del fideiussore nei diritti del creditore verso il debitore.

L’art. 1956 c.c., invece dispone che “Il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito”. In tale caso “Non è valida la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione”.

Anche ai sensi dell’art. 1956 c.c., secondo l’insegnamento della giurisprudenza, l’operatività della garanzia fideiussoria rimane esclusa quando il comportamento della banca beneficiaria della fideiussione non sia improntato, nei confronti del fideiussore, al rispetto dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto.

Dunque, se la banca concede un finanziamento al debitore principale, pur conoscendone le difficoltà economiche, fidando nella solvibilità del fideiussore, senza informare quest’ultimo dell’aumentato rischio e senza chiederne la preventiva autorizzazione, può incorrere in violazione degli obblighi generici e specifici di correttezza e di buona fede contrattuale, con conseguente estinzione della garanzia fideiussoria.

Sul punto si è espressa anche la Corte di Cassazione (in una fattispecie per la verità non esattamente analoga al nostro ipotetico caso, in quanto l’insolvibilità del mutuatario si era palesata dopo la costituzione della fideiussore), secondo la quale: “qualora un contratto di fideiussione venga stipulato a garanzia del pagamento dei canoni di un contratto di locazione, ove si determini una morosità del conduttore tale da giustificare la domanda di risoluzione da parte del locatore, questi è tenuto a riferire al fideiussore della morosità, onde farsi autorizzare ad attendere il pagamento, in tal modo facendo credito al conduttore con la garanzia del fideiussore; se ciò non avviene, è applicabile la previsione dell’art. 1956 c.c., secondo cui in tale ipotesi il fideiussore è liberato dalla propria obbligazione” (Cass. civ. Sez. III, 13/02/2009, n. 3525, in Contratti, 2009, 6, 594).

Avv. Giovanni Anania

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