La Cassazione ha specificato in quali casi l’indicazione del tratto di strada dell’infrazione diventa necessaria.

È sempre necessario indicare il luogo della infrazione in caso di multe? A questa domanda ha risposto l’ordinanza n. 5610/2018 della Corte di Cassazione, fornendo alcune precisazioni importanti.

Per i giudici, infatti, non sempre il decreto prefettizio deve indicare il luogo in cui è avvenuta l’infrazione prevista dal Codice della Strada.

Ad esempio, l’indicazione del luogo della infrazione sarà necessaria nel caso in cui il superamento del limite di velocità sia rilevato tramite strumenti “a distanza”.

Tuttavia, non occorre specificarlo laddove il rilevamento sia avvenuto a mezzo di apparecchiature gestite direttamente dalla Polizia.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ha respinto il ricorso di un uomo contro la sentenza del Tribunale che, in riforma dell’appellata sentenza del Giudice di Pace, aveva rigettato la sua opposizione avverso un verbale di accertamento di violazione al Codice della Strada.

La sentenza impugnata aveva ritenuto infondati i motivi di doglianza del multato. Questi, infatti, lamentava come nel Decreto Prefettizio non figurasse l’inclusione del luogo della infrazione, ovvero del tratto di strada in cui questa si sarebbe verificata.

Tale mancanza, secondo l’opponente, avrebbe dovuto determinare l’invalidità della contestazione non immediata.

Ma non secondo i giudici che hanno respinto il ricorso. Gli Ermellini hanno richiamando i noti principi a cui si è conformata la gravata decisione (cfr. Cass n. 376 e 17905/2008).

L’inserimento del tratto stradale nell’apposito decreto prefettizio, spiegano i giudici, è necessario solo ove la violazione al Codice della Strada avvenga attraverso l’utilizzazione di apparecchiature di rilevamento “a distanza”. Tra queste, ad esempio, l’autovelox.

Invece, non è affatto necessaria tale indicazione nei casi, come quello di specie, in cui per la rilevazione dell’infrazione sono state utilizzate apparecchiature gestite dagli agenti di polizia.

La sentenza impugnata si è quindi conformata all’orientamento giurisprudenziale della Corte. Alla luce di tali evidenze, pertanto, il ricorso va rigettato.

Il ricorrente è stato anche condannato a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del D.P.R. n. 115/2002.

 

 

 

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