Un quesito, quello sull’usura, che mi sorge spontaneo dopo la lettura della sentenza di Cassazione sez. Lavoro (che si allega).

Gli Ermellini affermano giustamente che l’usura è un concetto di diritto, ma affermare che il medico legale non può valutarlo mi sembra troppo (e ciò non è riferito al carattere dequalificante che è concetto esclusivamente giuridico) soprattutto perché partono da un concetto che vi riporto:

“…2) a tal fine, l’indagine circa l’usura – che assume rilievo solo quando la riduzione della capacità lavorativa sia prossima alla soglia legale d’invalidità – deve essere condotta tenendo conto che lavoro usurante è quello che accelera ed accentua il logoramento dell’organismo (che si verifica in un tempo più breve ed in misura superiore rispetto alla norma), in quanto il lavoro è sproporzionato rispetto alla residua efficienza fisiopsichica di cui il soggetto (afflitto da un complesso morboso invalidante in misura prossima a quella legale) ancora dispone, non identificandosi l’usura in questione con quella “normale”, dipendente cioè non dalla protrazione dell’attività lavorativa, bensì dalla naturale evoluzione in senso peggiorativo delle infermità (Cass. 11 novembre 2002, n. 158179; Cass. 23 febbraio 1995, n. 2031);”

Come concetto di usura nulla questio, ma un primo passo da analizzare è proprio il concetto della “prossimità” alla soglia legale d’invalidità. Quest’ultimo fatto direi che è difficilmente scindibile dal concetto di usura, in quanto il medico legale, nel valutare la riduzione della capacità lavorativa confacente a meno di 2/3, considera anche le caratteristiche di usura dell’attività svolta dal periziando e delle possibili attività confacenti svolgibili dallo stesso.

Non ho mai scritto e nessun maestro mi ha mai insegnato a valutare l’invalidità e l’usura separatamente, né l’ho visto mai fare ad alcuno (e presumo che non l’abbia fatto neanche il ctu di Appello).

E’ chiaro che il medico legale valutatore conclude per il riconoscimento dell’assegno di invalidità se il danno psico fisico non lascia dubbi sulla incidenza negativa sull’attività lavorativa confacente (> di 2/3) o se tale danno è borderline e l’attività lavorativa svolta diventa certamente o probabilmente usurante sulle residue capacità lavorative.

E’ evidente che nel secondo caso il medico legale effettua una trasformazione del danno futuro in un danno attuale (giuridico) e ciò non so se cozza con il tenore della legge che recita che il beneficio va dato nei casi in cui sia ridotta la capacità lavorativa confacente a meno di 2/3.

Allora l’indennizzo si concede per evitare l’instaurarsi del danno o tende a compensare una situazione attuale di danno?

Nel caso discusso nella sentenza allegata è evidente che per una ostetrica, con un disturbo psichico “ACCERTATO” nella sua entità, si possa pensare che nel periodo di accertamento possa essere invalidità nei termini di legge. Ma per quanto tempo bisogna concedergli il beneficio? Quale sarebbe la soluzione ideale per il lavoratore, avere ridotto l’orario di lavoro o essere sospeso fino ad accertamento della “rientrata” situazione psichica?

Una cosa è certa: per chiunque (medico legale e Giudice) sarà arduo stabilire con “certezza” la prossimità della soglia di invalidità e l’incidenza dello stress lavorativo (psicofisico) sulle residue capacità del lavoratore tanto da aumentare l’invalidità stessa facendola trapassare oltre il limite stabilito dalla legge.

Lo scrivente con convinzione sostiene che tale difficoltà decisionale sarà comunque maggiore per il giudice rispetto al medico legale.

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

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