Lo studio, condotto dai ricercatori dell’Università di Torino, apre nuovi scenari nel trattamento delle malattie neurologiche

I nostri movimenti quotidiani prevedono una coordinazione inconscia, operata dal cervelletto, la parte più antica del cervello. La perdita di questa capacità, chiamata atassia, è un sintomo comune a molte malattie neurologiche.
Una parte delle atassie è ereditaria, ha cioè una causa genetica.

Un singolo gene, tra i 20.000 che compongono il genoma, è mutato e non riesce a sintetizzare la proteina corrispondente o ne sintetizza una malfunzionante. Ciò provoca nei pazienti una progressiva e irreversibile degenerazione del cervelletto, ma le ragioni per cui questo fenomeno avviene sono spesso ignote.

Due gruppi di ricerca dell’Università di Torino, coordinati dai prof. Alfredo Brusco e Filippo Tempia, hanno chiarito il meccanismo attraverso cui insorge e si sviluppa una forma di atassia ereditaria chiamata SCA28. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista internazionale Neurobiology of Diseaese.

Lo studio – iniziato oltre 10 anni fa – è frutto della collaborazione di numerosi ricercatori di centri nazionali e internazionali.

Grazie a tecniche di biologia molecolare, i ricercatori hanno introdotto nel genoma del topo una variante del gene AFG3L2 presente nei pazienti. In tal modo hanno generato un modello murino di atassia SCA28. Come nell’uomo, i topolini hanno sviluppato una forma di malattia lieve, visibile solo nell’età adulta e lentamente progressiva.

“Lo studio di questo modello creato in laboratorio ci ha permesso di scoprire che la malattia è causata da un difetto nella funzione dei mitocondri, le cosiddette centrali energetiche della cellula”. A spiegarlo spiega il prof. Alfredo Brusco del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Ateneo torinese.

“Nella SCA28 la proteina AFG3L2 non funziona correttamente, e i mitocondri assumono una forma anomala perdendo progressivamente la capacità di sintetizzare ATP. La causa di questo ‘malfunzionamento’ – continua Brusco – sta nel ruolo di AFG3L2, che ha il compito di ripulire i mitocondri dalle proteine anomale o degradate. Nella SCA28 i mitocondri accumulano questi prodotti di scarto senza riuscire a eliminarli: a lungo termine funzionano sempre peggio provocando un danno cellulare”.

Il meccanismo, noto come ‘proteostasi mitocondriale’, è importante nell’invecchiamento ed è coinvolto in altre patologie neurodegenerative più conosciute. Tra queste, il morbo di Alzheimer e il morbo di Parkinson.

“I risultati sui topi – aggiunge il prof. Filippo Tempia del Dipartimento di Neuroscienze e NICO – Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi – ci hanno permesso di individuare alcuni farmaci in grado di inibire la sintesi di proteine mitocondriali, e che potrebbero essere in grado di invertire il processo patologico e rallentare o impedire la progressione della malattia”.

Il lavoro aumenta la comprensione dei meccanismi responsabili delle atassie e, secondo i ricercatori, porterà a nuove scoperte sulla funzione del cervelletto. Lo studio, in particolare, aprirebbe nuove possibilità da esplorare nel trattamento di questa e altre patologie neurologiche.

 

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