Confermata in Cassazione la condanna di due medici e della struttura sanitaria alla liquidazione del danno patrimoniale e non patrimoniale per la mancata diagnosi della malformazione del feto

Avevano agito in giudizio contro struttura sanitaria e medici per la mancata diagnosi di una grave malformazione del feto in sede di esami ecografici. Il bambino era nato con possibilità di vita esclusivamente vegetativa.

La pretesa risarcitoria dei genitori era stata accolta dai giudici del merito. La Corte territoriale aveva disposto a loro favore il pagamento in solido da parte dei convenuti di una cifra pari a 300mila euro ciascuno per i danni non patrimoniali e di 1.620.000 euro per il danno patrimoniale.

La Suprema Corte – terza sezione civile – con l’ordinanza n. 24189/2018 ha ritenuto di confermare integralmente la pronuncia del Giudice a quo.

Nell’occasione gli Ermellini hanno chiarito che chi versa in uno stato vegetativo permanente “è una persona in senso pieno”.

I suoi diritti fondamentali vanno rispettati e tutelati. Anzi, la tutela del suo diritto alla vita e del suo diritto alle prestazioni sanitarie deve essere ancora più incisiva. Ciò in considerazione delle condizioni di estrema debolezza in cui si trova e la sua incapacità di provvedere autonomamente a se stesso.

La tragicità estrema di tale stato patologico è parte costitutiva della biografia del malato e non toglie nulla alla sua dignità di essere umano. Pertanto non è in alcun modo giustificato un affievolimento delle cure e del sostegno solidale. Questi costituiscono un diritto del malato fino al sopraggiungere della morte.

“La comunità – si legge nella sentenza – deve mettere a disposizione di chi ne ha bisogno e lo richiede tutte le migliori cure e i presidi che la scienza medica è in grado di apprestare per affrontare la lotta per restare in vita, a prescindere da quanto la vita sia precaria e da quanta speranza vi sia di recuperare le funzioni cognitive”.

In conclusione, per la Suprema Corte, la non vita non può essere qualificata come bene della vita. Ciò porta a escludere in radice la configurabilità del danno ingiusto, come già affermato dalle sezioni unite.

 

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