Il giudice cons. Massimo dott. Moriconi, si è nuovamente pronunciato sul tema della mancata ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione demandata dal giudice e sulla eventuale applicazione, alla parte renitente, della sanzione di cui all’art. 96 c.p.c.

L’aspetto più interessante di questa sentenza (27 settembre 2018 il Tribunale di Roma) è il rifiuto ingiustificato del convenuto alla mediazione demandata dal Giudice costatogli ben 5000€ di condanna.

Nel caso de quo ha ottenuto un risarcimento di oltre €. 10.000 il motociclista costretto alla caduta dall’automobilista che non riconosce la precedenza mentre esce dal parcheggio.

Inoltre, la danneggiata ottiene anche i €. 5.000 liquidati dal giudice ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., in base all’art. 5, secondo comma, del decreto legislativo 28/2010, come modificato dal decreto legge 69/2013, poiché al procedimento di mediazione demandata dal giudice è richiesta la partecipazione effettiva.

Il Tribunale ha ritenuto condotta scriteriata «puerile» la giustificazione del responsabile civile che rifiuta ogni addebito in quanto non c’è stata collisione fra la vettura e lo scooter: la donna è caduta per la frenata improvvisa causata dalla condotta di guida dell’automobilista, che sbarra la strada alla moto.

Ma può essere applicata la sanzione prevista dall’art. 96 c.p.c. in caso di mancata ingiustificata partecipazione alla mediazione demandata?

Contro il rischio della mancata ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione l’art. 8, comma quarto bis, del decr. lgsl. n. 28/10 predispone specifici deterrenti e precisamente l’utilizzo dell’art.116 c.p.c. da parte del giudice e la condanna al pagamento di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Ma può essere applicata anche la sanzione di cui all’art. 96 c.p.c. non espressamente menzionata dall’art. 8 innanzi citato?

La riposta del Tribunale di Roma è affermativa.

L’art. 96 c.p.c. è, infatti, secondo il giudice, norma aperta, cioè di generale applicazione e come tale non può essere ipotizzata un’interpretazione della stessa che condizioni la sua disapplicazione all’esistenza di una espressa previsione per singoli casi.

Tanto viene confermato nello stesso decr. lgsl. n. 28/10 che all’art.13, quando prevede la specifica disciplina delle spese di causa in materia di proposta del mediatore irragionevolmente non accettata, fa comunque salva l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile.

Al contrario, sono gli strumenti previsti dall’art. 8 del decr. lgsl. n. 28/10 ad aggiungersi, in virtù di una specifica previsione di legge, alle norme di generale applicazione, qual’è l’art. 96 c.p.c., per le quali non è necessario uno specifico richiamo.

La possibilità di applicare l’art. 96 c.p.c., nel caso di ingiustificata partecipazione della parte convocata al procedimento di mediazione deriva, secondo il Tribunale, dai seguenti e convergenti parametri logico-sistematici:

  1. L’applicazione non è una conseguenza automatica della mancata partecipazione, ma di una valutazione specifica della condotta del soggetto renitente con preciso riferimento all’assenza di giustificati motivi per non partecipare ed al grado di probabilità del raggiungimento di un accordo in caso di partecipazione; ergo, più alte ed evidenti si appalesano tali possibilità tanto più grave e meritevole di sanzione si connota l’ingiustificato rifiuto;
  2. il collegamento, già insito nell’essere la mediazione condizione di procedibilità, fra procedimento giudiziario (causa) e procedimento esterno (mediazione) è strettissimo e sincronico nella mediazione demandata, nella quale si radicano più che altrove, molteplici punti di contatto e di interferenza con la causa. La doverosità della partecipazione delle parti al procedimento di mediazione, è prevista in modo diretto dalla legge per ciò che concerne la parte onerata dalla condizione di procedibilità, e solo indiretto, per quanto riguarda il convenuto.

Ma la doverosità acquista un maggiore rilievo rispetto al convenuto, a seguito della mediazione demandata riformata, in cui l’ordine del giudice è rivolto direttamente a tutte le parti, nessuna esclusa, rendendo manifesta ed esplicita la necessità della partecipazione al procedimento di mediazione.

In entrambi i casi il fatto che siano state previste delle sanzioni per la mancata partecipazione attesta formalmente che l’attivazione della procedura di mediazione demandata non afferisce solo ad un onere, poiché a seguito dell’istanza nascono obblighi, sanzionati, di partecipazione a carico di tutte le parti in conflitto.

Ciò che emerge da quanto precede è che applicando l’art.96, comma terzo, viene sanzionata la condotta del soggetto renitente prima di tutto processuale, cioè interna ed appartenente alla causa, dove tali espressioni indicano la scelta del soggetto di non tenere nella giusta considerazione l’ordine impartitogli dal giudice, opponendogli un ingiustificato rifiuto.

Ne consegue che l’applicazione dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. alla fattispecie della mancata partecipazione al procedimento di mediazione demandata non è solo questione ed interesse dell’istituto della mediazione, al cui presidio soccorrono (anche) norme interne alla legge che la disciplina (art. 8 decr. lgsl.28/2010), ma ben di più e prima, di disciplina del processo e di condotta processuale, che si qualifica scorretta e sanzionabile proprio nella misura in cui senza valida ragione viene disatteso un ordine legalmente dato dal giudice.

L’elemento soggettivo dell’art. 96 III° Il dolo o la colpa grave

L’art. 96 dispone che:

I° se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza.

II° Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziaria, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente.

E per quel che qui interessa:

III° In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.

La norma del terzo comma introdotta dalla l. 18.6.2009 n. 69 ed entrata in vigore dal 4.7.2009 ha cambiato completamente il quadro previgente con alcune importanti novità:

  • in primis non è più necessario allegare e dimostrare l’esistenza di un danno che abbia tutti i connotati giuridici per essere ammesso a risarcimento essendo semplicemente previsto che il giudice condanna la parte soccombente al pagamento di un somma di denaro ;
  • non si tratta poi di un risarcimento bensì di un indennizzo e di una punizione, di cui viene gravata la parte che ha agito con imprudenza, colpa o dolo;
  • l’ammontare della somma è lasciata alla discrezionalità del giudice che ha come unico parametro di legge l’equità e, pertanto, lo stesso, deve tenere in considerazione tutte le circostanze del caso per determinare in modo adeguato la somma attribuita alla parte vittoriosa;
  • a differenza di quanto accade per primo e secondo comma, il giudice provvede ad applicare quella che si presenta né più né meno che come una sanzione d’ufficio a carico della parte soccombente, non essendo ancorata alla richiesta di parte;
  • da ultimo, la possibilità di attivazione della norma non è necessariamente correlata alla sussistenza delle fattispecie del primo e secondo comma. Tanto emerge dall’uso nella norma della locuzione in ogni caso che consente che la condanna di cui al terzo comma possa essere emessa sia nelle situazioni di cui ai primi due commi dell’art. 96 e sia in ogni altro caso in cui tale condanna appaia ragionevole.

Nel caso de quo non v’è dubbio che sussista la gravità della colpa, in quanto la parte convocata non ha aderito alla mediazione, così sottraendosi all’ obbligo, derivante dall’ordine impartito dal giudice.E secondo il giudice la sussistenza di tali requisiti potrà essere riscontrata ricavandola da qualsiasi indicatore sintomatico.Tra l’altro il rifiuto ingiustificato di aderire ad un ordine del giudice, legittimamente dato, è sempre considerato grave dall’ordinamento che prevede sanzioni e deterrenti di varia natura e contenuto, a carico della parte renitente.

Un esempio è fornito dall’art.116 c.p.c. per le conseguenze previste per chi si sottrae al provvedimento che dispone l’assunzione della testimonianza, dell’interrogatorio formale etc., e dall’art. 388, secondo comma, del codice penale.

Nella fattispecie in esame, in presenza di chiare e comprovate circostanze che imponevano a tutta evidenza di dismettere una posizione processuale di ostinata pregiudiziale e pervicace resistenza, la condotta della compagnia di assicurazione secondo il Tribunale integra certamente, laddove non si ritenesse sussistere il dolo, la colpa grave.

Il Tribunale pone in rilievo come la giurisprudenza richieda la sussistenza del dolo o della colpa grave in quanto non sembra ragionevole sanzionare la semplice soccombenza, che è un fatto fisiologico alla contesa giudiziale.

Anche se non espressamente richiesto dalla norma, la giurisprudenza ritiene necessario sussista anche il requisito della gravità della colpa.

Avv. Maria Teresa De Luca

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