Rapporto Tribunale diritti malato, 13 mesi per risonanza. Responsabilità professionale: bene la normativa che ‘prevede l’azione diretta del cittadino nei confronti della compagnia assicuratrice, come l’Rc Auto. Orario di lavoro: Fnomceo, attenersi al codice deontologico 

Che si tratti di ricoveri, visite mediche a domicilio o prescrizioni di farmaci, aumenta il numero di cittadini che si sente dire un ‘no’, più o meno argomentato. Se liste di attesa e ticket troppo cari restano i primi motiviche allontanano gli italiani dalla sanità pubblica, ad ostacolare l’accesso alle cure sono ora anche le risposte negative da parte dei medici. A puntare il dito contro un problema in aumento è il 18/esimo Rapporto Pit Salute “Sanità pubblica, accesso privato”, basato su 24 mila segnalazioni giunte nel 2014 e presentato a Roma dal Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva. Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria di base, circa 1800 persone hanno e segnalato di aver ricevuto un rifiuto alla richiesta di una visita a domicilio mentre 1900 un rifiuto alla prescrizione di farmaci o visite specialistiche.

«Numeri in aumento» chiarisce Tonino Aceti, coordinatore del Tribunale per i diritti del malato, «in alcuni casi dettati da oggettiva non necessità, ma più spesso cartina di tornasole dei tagli alla sanità decisi dall’alto e attuati sul territorio in modo non chirurgico e quindi attraverso contenimento del budget e riduzione dei servizi». Altri ‘no’ riguardano la possibilità di spostarsi per ottenere cure in altre regioni o all’estero, in genere dovuti al rifiuto delle Asl di rimborsare le spese. Non pochi (1200), inoltre, affermano che, ad esser stato negato, è l’accesso alle proprie documentazioni cliniche.

Accanto a ‘nuovi’ problemi che si prevede aumenteranno con l’introduzione del decreto appropriatezza, mirato a ridurre le prescrizioni non necessarie, ci sono problemi ‘sempreverdi’, come il costo dei ticket, lamentato dal 42% dei contatti, e le liste d’attesa. Due anni per un intervento all’anca, 13 mesi per una risonanza magnetica, 9 per una ecografia, un anno per una tac, una visita psichiatrica o una mammografia: sono tempi che annullano i benefici della prevenzione o della diagnosi tempestiva.

A destare allarme in particolare l’aumento delle segnalazioni di ritardi anche per radioterapia e chemioterapia. La conseguenza è che sempre più i cittadini si allontanano dal servizio pubblico. “Ci vogliono abituare a considerare l’intramoenia e il privato come normali canali di accesso alle prestazioni sanitarie di cui si ha bisogno”, commenta Aceti. Altro capitolo dolente è quello della salute mentale, i cui disservizi sono testimoniati da 600 segnalazioni, 150 in più rispetto all’anno scorso. Il 28% dei cittadini che segnalano problemi riferiti a quest’ambito denuncia il ricovero di pazienti psichiatrici in strutture inadeguate, il 22% situazioni insostenibili in famiglia, il 20% la mancata presa in carico dal servizio pubblico.

«Laddove gli interventi ci sono», sottolinea Aceti, «sono un esempio di prestazioni inappropriate, perché spesso i pazienti vengono imbottiti di farmaci ma senza un percorso riabilitativo». Un lavoro quello del Pit Salute, che racconta la realtà dal punto di vista di chi il Sistema sanitario lo finanzia e lo utilizza. «Lo sviluppo del nostro sistema sanitario – è il commento di Francesco Bevere, direttore generale dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) – deve prevedere il coinvolgimento dei cittadini. Attraverso la loro partecipazione le istituzioni possono avvalersi di un importante feedback sulla loro capacità di rispondere ai bisogni di salute».(ANSA).

Per i medici affrontare turno di servizio massacranti significa mettere a rischio i pazienti. E’, in sintesi, il contenuto di un richiamo della Federazione regionale degli Ordini dei Medici a tutti i suoi iscritti perchè si attengano al Codice Deontologico. Dal 25 novembre, infatti, entrerà in vigore la norma che prescrive al lavoratore 11 ore di riposo ogni 24 lavorative. «La Regione – sostiene la Federazione -non è affatto intervenuta ad aggiornare gli accordi contrattuali in merito agli orari di lavoro: saremo costretti a sopprimere alcuni servizi con danno ai cittadini?». «In considerazione del crescente quotidiano disagio affrontato dai medici nel garantire il diritto costituzionale del cittadino alla salute – si legge in una nota – con i mezzi sempre più penalizzati dai recenti piani di riorganizzazione della sanità ospedaliera e territoriale piemontese» la Federazione richiama «i dettami del vigente Codice Deontologico che sta assumendo anche valenza di diritto pubblico».

E in particolare ricorda che “il medico non assume impegni professionali che comportino un eccesso di prestazioni tale da pregiudicare la qualità della sua opera e la sicurezza della persona assistita. Il medico – aggiunge l’informativa – deve esigere da parte della struttura in cui opera ogni garanzia affinché le modalità del suo impegno e i requisiti degli ambienti di lavoro non incidano negativamente sulla qualità e la sicurezza del suo lavoro e sull’equità delle prestazioni. Sarà cura di ogni competente Ordine provinciale – conclude – nell’interesse del cittadino e della salute pubblica, vigilare sulla scrupolosa osservanza di quanto sopra ricordato, con particolare attenzione all’attività dei direttori sanitari d’azienda.

«La legge sulla responsabilità del personale sanitario non penalizzerà i pazienti, anzi renderà più facile ottenere indennizzi, prevedendo, tra l’altro, l’azione diretta del cittadino nei confronti della compagnia assicuratrice, alla stregua di quanto accade per l’Rc Auto». E’ una delle novità che verrannointrodotte dalla legge sulla responsabilità professionale del personale sanitario all’esame della Commissione Affari sociali della Camera e che è stata annunciata dal relatore del testo, Federico Gelli (Pd). Con la legge, ha aggiunto Gelli, «obblighiamo tutte le strutture e i professionisti, anche quelli in libera professione, a dotarsi di una copertura assicurativa. E’ uno scandalo che non sia già così. La volontà politica è abbattere i costi della medicina difensiva, quella dettata dalla paura di incorrere in denunce. Abbiamo 14 miliardi che potrebbero essere utilizzati per migliorare il servizio e invece vengono sprecati».

«I numero di sinistri aperti per errori di medici o sanitari – è la risposta di Tonino Aceti, coordinatore del Tribunale dei Diritti del Malato – sono appena lo 0,0012% rispetto al volume delle prestazioni erogate. Nel 2012 ci sono stati solo 12.000 sinistri aperti su 9 milioni di ricoveri e un miliardo di prestazioni.Quindi non c’è nessun attacco sfrenato ai medici e probabilmente la stima dei costi della medicina difensiva non corrisponde alla realtà. Ma noi, per questa percentuale così bassa, stiamo approvando una legge che, al contrario di ciò che accade, attribuirà al cittadino, ovvero alla parte debole, l’onere di dover provare il danno subìto». (dottnet)

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