Il recente processo di allineamento della legislazione italiana relativa alle scuole di specializzazione alla regolamentazione adottata dall’Unione europea ha radicalmente trasformato il ruolo del medico specializzando nelle strutture sanitarie ove è tenuto ad operare.
Tale mutamento ha suscitato numerosi interrogativi circa il ruolo e la funzione dello specializzando, con riferimento, in modo particolare, alla sua collocazione giuridica delle diverse forme di attività sanitarie.
Il primo riferimento normativo è il d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257 con il quale si è data attuazione alla direttiva 82/76/CE che, disciplinando l’attività del medico non strutturato, è intervenuto con pochi ma specifici articoli sul tema della responsabilità dello specializzando delineandone la sfera dei diritti e doveri e segnando, così, per il settore in esame, un decisivo punto di svolta rispetto all’ordinamento precedente.
Tale decreto è stato successivamente abrogato dal d.gls. 17 agosto 1999, n. 368, emanato in attuazione della direttiva 93/16/CEE, che, ha introdotto alcune importanti novità.
La disciplina della formazione dei medici specialisti è contenuta nell’ art. 20, comma 1, lett. e) del citato D.Lgs., il quale prevede che l’ottenimento del diploma di medico chirurgo specialista sia subordinato, oltre che ad altre condizioni, alla “partecipazione personale del medico chirurgo candidato alla specializzazione, alle attività e responsabilità proprie della disciplina”.
E già questa premessa consente di affermare che il medico specializzando non è un mero spettatore esterno, un discente estraneo alla comunità ospedaliera; egli infatti partecipa alle “attività e responsabilità” che si svolgono nella struttura dove si svolge la sua formazione. (Cfr. Cass., pen., Sez. IV, 10 luglio 2008, n. 32424).
Quanto, poi, alle concrete modalità di svolgimento della formazione – che può avvenire in un ateneo specializzato o in una azienda ospedaliera o in un istituto accreditato (art. 20, comma 1, lett. d) – esse sono disciplinate dagli artt. 34 e ss. del medesimo D.Lgs..
In particolare, l’art. 37 prevede l’iscrizione alle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia con la stipula di un contratto annuale, rinnovabile, di formazione lavoro.
Con la sottoscrizione del contratto il medico in formazione specialistica “si impegna a seguire, con profitto, il programma di formazione svolgendo le attività teoriche e pratiche previste dagli ordinamenti e regolamenti didattici…………Ogni attività formativa e assistenziale dei medici in formazione specialistica si svolge sotto la guida di tutori…………” (art. 38, comma 1).
L’art. 38, al comma 3 precisa, poi, che “la formazione del medico specialista implica la partecipazione guidata alla totalità delle attività mediche dell’unità operativa………nonché la graduale assunzione di compiti assistenziali e l’esecuzione di interventi con autonomia vincolate alle direttive ricevute dal tutore…………. In nessun caso l’attività del medico in formazione specialistica è sostitutiva del personale di ruolo”.
La nuova normativa ha, in questo modo, confermato che l’attività del medico specializzando  deve riguardare la totalità delle attività mediche e ha, al tempo stesso, accentuato il potere-dovere di controllo del tutore aggiungendo al sostantivo “partecipazione” l’aggettivo “guidata”.
Non solo. Ma non si fa più menzione, tra le attività mediche del servizio, “le guardie e l’attività operatoria per le discipline chirurgiche”. Si parla, al contrario, di “graduale assunzione di compiti assistenziali e l’esecuzione di interventi con autonomia vincolata alle direttive ricevute dal tutore”.
L’espressione utilizzata dal legislatore per definire la sua posizione giuridica, è quella di ”autonomia vincolata”: si tratta di un’autonomia che non può essere disconosciuta trattandosi di persone che hanno conseguito la laurea in medicina e chirurgia e, purtuttavia, essendo in corso la formazione specialistica (soprattutto per quei settori che non formano bagaglio culturale comune del medico non specializzato), l’attività non può che essere caratterizzata da limitati margini di autonomia e svolta sotto le direttive del tutore. (Cfr. Cass., pen., Sez. IV, 10 luglio 2008, n. 32424).
L’autonomia riconosciuta dalla legge, sia pur vincolata, non può dunque che ricondurre allo specializzando le attività da lui compiute; e se lo specializzando non si ritiene in grado di compierle deve rifiutarle perché diversamente se ne assume la responsabilità (c.d. colpa “per assunzione”).
In particolare, Secondo la Corte di Cassazione il medico specializzando risponde pienamente, secondo i criteri di colpa, della salute del paziente affidato alle sue cure ed ha l’obbligo di rifiutare l’investitura di prestazioni rispetto alle quali si senta impreparato (Cass. Pen. Sez. IV 6 ottobre 1999, n. 13389).
Se lo specializzando, chiamato ad eseguire un intervento, non sia ancora in grado di cimentarsi con esso, per la scarsa esperienza maturata, deve astenersi dal prestare l’opera di cui viene richiesto. Se invece accetta di svolgere ed espletare l’incarico, il concreto e personale espletamento dell’attività da parte dello specializzando “comporta l’assunzione diretta, anche da parte sua, della posizione di garanzia nei confronti del paziente, condivisa con quella che fa capo a chi le direttive impartisce.”
Sarebbe vano, d’altra parte, ricercare nella legge una norma che confermi quanto da molti sostenuto, ossia che lo specializzando sia una sorta di mero “strumento” del suo tutore: anche se questi detta una ricetta o una prescrizione medica lo specializzando che scrive sotto dettatura, nei limiti delle sue competenze, deve segnalare eventuali errori od omissioni e rifiutare di avallare terapie che, secondo il livello di perizia e diligenza da lui esigibile, appaiano palesemente incongrue (Cfr. Cass., pen., Sez. IV, 10 luglio 2008, n. 32424).
Tutto ciò va ovviamente valutato in conformità con la gradualità di assunzione di responsabilità che la ricordata normativa espressamente prevede.
E’ ovvio che diversi saranno gli interventi, anche critici, esigibili dal medico all’inizio della specializzazione rispetto a quelli che si richiedono a chi la formazione la sta facendo da anni.
Detto in altri termini, il tutore non deve solo fornire allo specializzando le sue direttive ma deve, altresì, controllarne le attività pur autonomamente svolte, deve verificare i risultati e consentirgli, quindi, di apprendere quanto la formazione è idonea per il futuro svolgimento autonomo della professione specializzata verificando la correttezza delle attività svolte. (Cfr. Cass., pen., Sez. IV, 10 luglio 2008, n. 32424).
I precedenti di legittimità, sembrano tutti orientati nella condivisione del principio normativo di “autonomia vincolata” come in precedenza delineato. Così Cass., 6 ottobre 1999 n. 2453, Tretti, rv. 215538, che ha ritenuto la responsabilità dello specializzando per aver proseguito un intervento operatorio iniziato dal capo equipe (che aveva lasciato la sala operatoria incaricando lo specializzando di concludere l’intervento che aveva avuto esito mortale) e analoghi principi sono stati affermati dalla sentenza 20 gennaio 2004 n. 32901, Marandola, rv. 229069 (in questo caso lo specializzando anestesista aveva effettuato con modalità inidonee l’iniezione epidurale ad una partoriente cagionando un calo pressorio non adeguatamente contrastato tanto da provocare danni irreversibili al feto) e, più recentemente, da Cass., 2 aprile 2007 n. 21594, Scipioni, rv. 236726, relativa ad un caso di anticipato abbandono della sala operatoria da parte del chirurgo prima che venisse suturata la ferita chirurgica.

Avv. Sabrina Caporale

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui