La Corte costituzionale con la sentenza n. 231 del 10 dicembre 2018, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della menzione nel casellario giudiziale delle ordinanze di sospensione del processo per messa alla prova

La questione di legittimità costituzionale era stata inizialmente sollevata, con ordinanza del 18 novembre 2016 (r.o. n. 47 del 2017), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, tra gli artt. 24 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale (…)», nel testo anteriore alle modifiche, non ancora efficaci, recate dal decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 122 (Disposizioni per la revisione della disciplina del casellario giudiziale, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 18 e 19, della legge 23 giugno 2017, n. 103), in riferimento al «principio di eguaglianza e conseguentemente di ragionevolezza» di cui all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui «non prevedono che nel certificato generale del casellario giudiziale e nel certificato penale chiesto dall’interessato non siano riportate le ordinanze di sospensione del processo emesse ai sensi dell’art. 464-quater c.p.p. Si tratta cioè dei casi di concessione del beneficio della messa alla prova.

Quanto all’art. 3 Cost., l’irragionevolezza della disposizione risiederebbe nel fatto di imporre la menzione nei certificati del casellario di vicende giudiziarie meno gravi di altre per le quali è invece prevista la non menzione. Si pensi anche al diverso e più favorevole trattamento riservato ai provvedimenti che dichiarano la non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale, anch’essi esclusi dalla menzione nei certificati del casellario giudiziale, rispetto al caso in esame.

Quanto invece all’art. 27 Cost., lo stesso giudice rimettente ritiene che l’iscrizione dei provvedimenti relativi alla messa alla prova in relazione a un reato dichiarato estinto per esito positivo della messa alla prova, farebbe permanere «l’onta legata al trascorso giudiziale […] così vanificando la positiva esperienza risocializzatrice» del soggetto interessato.

Il giudizio di costituzionalità

A parere dei Giudici delle Leggi, l’eccezione è fondata.

Rispetto alle censure formulate in relazione all’art. 3 Cost., occorre osservare come l’implicito obbligo di includere i provvedimenti relativi alla messa alla prova nei certificati del casellario richiesti da privati, finisca per risolversi in un trattamento deteriore dei soggetti che beneficiano di questi provvedimenti (peraltro, orientati anche a una finalità deflattiva con correlativi risvolti premiali per l’imputato), rispetto a coloro che – aderendo o non opponendosi ad altri procedimenti, come il patteggiamento o il decreto penale di condanna, ispirati essi pure alla medesima finalità – beneficiano già oggi della non menzione dei relativi provvedimenti nei certificati richiesti dai privati.

Inoltre, mentre per la generalità dei casi esiste la possibilità di beneficiare della non menzione della condanna nei certificati qualora si sia ottenuta la riabilitazione (art. 24, comma 1, lettera d e art. 25, comma 1, lettera d, del t.u. casellario giudiziale), nel caso dei provvedimenti relativi alla messa alla prova la riabilitazione è per definizione esclusa, non trattandosi di condanne. Il che costituisce un ulteriore profilo di irragionevolezza ingenerato dalla disciplina censurata.

Fondate sono, anche – a giudizio della Corte Costituzionale, le questioni sollevate in relazione all’art. 27, terzo comma, Cost.

Come affermato da una recente sentenza delle Sezioni unite dalla Corte di cassazione (sentenza n. 91 del 2018), “la sospensione del procedimento con messa alla prova costituisce «istituto che persegue scopi special-preventivi in una fase anticipata, in cui viene “infranta” la sequenza cognizione-esecuzione della pena, in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 31 marzo 2016, n. 36272)”.

La decisione

Non vi è, dunque, alcuna ragione plausibile perché si debba menzionare anche sui certificati richiesti dai privati – con gli effetti pregiudizievoli di cui si è detto, a carico di un soggetto che la Costituzione pur vuole sia presunto innocente sino alla condanna definitiva – un provvedimento interinale come l’ordinanza che dispone la messa alla prova, destinata peraltro, a essere travolta da un provvedimento successivo (la sentenza che dichiara l’estinzione del reato, nella normalità dei casi; o, in caso contrario, dall’ordinanza che dispone la prosecuzione del processo, laddove la messa alla prova abbia avuto esito negativo).

D’altra parte, una volta che il processo si sia concluso con l’estinzione del reato per effetto dell’esito positivo della messa alla prova, la menzione della vicenda processuale ormai definita contrasterebbe con la ratio della stessa dichiarazione di estinzione del reato, che comporta normalmente l’esclusione di ogni effetto pregiudizievole – anche in termini reputazionali – a carico di colui al quale il fatto di reato sia stato in precedenza ascritto.

 

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