Il danno conseguente alla morte del coniuge dà diritto all’altro coniuge di ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale, a patto che egli dimostri l’esistenza di un solido rapporto coniugale e di un progetto di vita insieme

In caso di incidente stradale, e di morte del coniuge o di un prossimo congiunto, che si tratti cioè di un componente appartenente al ristretto nucleo familiare (genitore, coniuge, fratello), si ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale presunto, consistente nella sofferenza morale che solitamente si accompagna alla morte di una persona cara e nella perdita del rapporto parentale. A questo va aggiunto il danno derivato dalla lesione del diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che ordinariamente caratterizza la vita familiare.

Si tratta di un principio ormai consolidato sia nella giurisprudenza di legittimità, sia in quella di merito.

Ma il caso quest’oggi in evidenza è un po’ diverso.

A fare richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale, nei termini anzidetti, era il marito di una donna, sfortunatamente deceduta a seguito di un violento impatto tra la sua auto e un mezzo agricolo.

La vicenda

Il tutto accadde su una strada pubblica, in condizioni di scarsa visibilità, quando l’autovettura della donna impattò violentemente contro un mezzo agricolo, peraltro non assicurato. A seguito dell’incidente la donna perse la vita; cosicché in seguito, il coniuge di quest’ultima decise di rivolgersi al giudice ordinario, per ivi ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale “iure proprio” conseguente al decesso del coniuge.

In primo grado la vicenda terminava con il respingimento della domanda attorea. Lo stesso accadeva in appello.

Secondo i giudici della corte territoriale, entrambi i conducenti avrebbero con la propria condotta concorso a determinare il verificarsi dell’evento: da una parte il conducente del mezzo agricolo che circolava in condizioni di scarsa visibilità, su una strada pubblica e con un rimorchio privo di dispositivi di illuminazione; dall’altra, la donna, che al contrario, percorreva la strada, pur se a velocità inferiore a quella massima consentita, ma senza prestare adeguata attenzione alla presenza di un ostacolo ancora visibile per le sue significative dimensioni e senza indossare le cinture di sicurezza.

Ma quel che più rileva, attiene alle motivazioni con cui i giudici della Corte d’Appello rigettavano la domanda dell’attore in merito alla richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale.

Secondo questi ultimi, infatti, il ricorrente, coniuge della donna deceduta, non avrebbe sufficientemente dimostrato (gravando su di lui l’onere della prova) la sussistenza di un progetto di vita in comune e di un vincolo affettivo; al contrario tale presunzione, che normalmente sussiste tra coniugi non separati, era stata superata da elementi di segno opposto, che secondo le regole di comune esperienza, costituiscono sintomo di deterioramento e di cessazione di un rapporto coniugale.

Di che cosa stiamo parlando?

L’uomo aveva avuto una relazione extraconiugale, dalla quale era nato un figlio, tre mesi prima della morte della moglie.

A nulla è valso, allora, il ricorso in ultima istanza dinanzi ai giudici della Corte di Cassazione.

Anche questi ultimi hanno confermato il giudizio precedentemente espresso.

A tal proposto, viene preliminarmente ricordato che il danno “de iure proprio” da perdita del rapporto parentale costituisce danno presunto, dovendosi ordinariamente ritenere sussistente tra detti stretti congiunti un intenso vincolo affettivo ed un progetto di vita in comune; nella normalità dei casi, pertanto, in virtù di detta presunzione, il soggetto danneggiato non ha l’onere di provare di avere effettivamente subito il dedotto danno non patrimoniale.

Siffatta presunzione semplice può tuttavia, in quanto tale, essere superata da elementi di segno contrario, quali la separazione legale o (come nel caso di specie) l’esistenza di una relazione extraconiugale con conseguente nascita di un figlio tre mesi prima della morte del coniuge (relazione extraconiugale che costituisce evidente inadempimento all’obbligo di fedeltà tra coniugi di cui all’art. 143 c.c.).

Detti elementi non comportano, di per sé, l’insussistenza del danno non patrimoniale in capo al coniuge superstite, ma impongono a quest’ultimo, in base agli ordinari criteri di ripartizione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. (essendo stata, come detto, superata la presunzione), di provare di avere effettivamente subito, per la persistenza del vincolo affettivo, il domandato danno non patrimoniale.

Per tali motivi, nel caso in esame, giustamente la Corte territoriale aveva rigettato la richiesta del coniuge, dal momento che quest’ultimo non aveva fornito alcuna prova in materia.

 

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