Sul banco degli imputati è finita un’infermiera che, secondo l’accusa avrebbe omesso, tra l’altro, “di adottare immediate misure idonee a prevenire il rischio di una caduta dal letto di ricovero”

Si è aperto nei giorni scorsi a Taranto il processo a carico un’infermiera in servizio nel dicembre del 2016 presso il nosocomio di Castellaneta. L’operatrice sanitaria è accusata di omicidio colposo in relazione al decesso di un uomo di 64 anni morto dopo una caduta dal letto in ospedale.

Il paziente, affetto da cardiopatia dilatativa, si era recato in Pronto soccorso per “dispnea ingravescente”. Come ricostruisce Pugliapress, era stato ricoverato in Cardiologia  dopo una consulenza specialistica con la diagnosi di scompenso cardiaco congestizio.

Dopo alcune ore, tuttavia, nonostante i buoni risultati della terapia, era stato trovato nella sua stanza “a tratti disorientato”. Poco dopo avrebbe accusato un’improvvisa perdita di coscienza rovinando per terra dal letto dov’era seduto.

Un impatto che avrebbe provocato un violento trauma cranico e facciale. Trascorse tre ore era sopraggiunto il decesso.

I parenti avevano quindi deciso di presentare un esposto alla carabinieri della compagnia locale. Da li l’apertura di un fascicolo da parte della Procura di Taranto e l’iscrizione nel registro degli indagati di tutti i sanitari che avevano avuto in cura la vittima.

Il Pubblico Ministero aveva inoltre disposto il sequestro della documentazione medica e lo svolgimento dell’esame autoptico. Le conclusioni del medico legale incaricato hanno individuato come causa del decesso proprio i postumi conseguenti alla caduta dal letto. Più specificamente, nella consulenza si parla di “insufficienza respiratoria acuta in lesioni cervico-midollari (frattura del soma di C5 con contusione midollare) e trauma cranico, riportati a seguito di caduta”.

Il perito, come riferisce ancora Pugliapress, ha individuato delle specifiche responsabilità dei sanitari nella gestione del paziente, con particolare riferimento per quella infermieristica. Il quadro clinico del paziente, nello specifico, “avrebbe dovuto costituire di per sé un elemento sufficiente atto a intensificare considerevolmente la sorveglianza clinica attiva e continua” da parte del personale infermieristico. Inoltre, “avrebbe dovuto imporre l’allerta del medico di reparto e la messa in atto di provvedimenti anche pratici finalizzati a prevenire l’evento caduta”.

Invece, non ci sarebbe stato “un attento monitoraggio clinico del paziente, se non per il solo rilievo dei parametri vitali”. Inoltre, non sarebbero stati presi provvedimenti pratici in capo al personale infermieristico, come “l’impiego di spondine al letto”.

Sulla base della consulenza il Pm ha quindi chiesto l’archiviazione per nove dei dieci indagati. A processo è invece finita l’infermiera che aveva annotato le condizioni di disorientamento del paziente. Nelle richiesta di rinvio a giudizio si afferma che l’operatrice sanitaria pur rendendosi conto di tali condizioni, “ometteva di avvisare il personale medico di tale criticità e di adottare immediate misure idonee a prevenire il rischio di una caduta dal letto di ricovero”.

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