Lo ha stabilito il Tribunale pronunciandosi sul caso di uomo ricoverato e morto in Ospedale dopo aver concluso una compravendita

Aveva venduto una proprietà e portava addosso diversi contanti e 11 assegni bancari. In seguito a un malore l’anziano era stato ricoverato d’urgenza presso un nosocomio di Roma. Era il febbraio del 2013 e dopo un periodo di degenza il paziente era morto in Ospedale a causa di alcune complicazioni.

Dopo il decesso, tuttavia, i soldi non vennero più trovati. Non erano infatti presenti in alcun armadietto. I familiari decisero quindi di presentare denuncia.

Sebbene il processo penale nei confronti di un’infermiera si sia concluso con l’assoluzione piena, il Tribunale civile di Roma ha tuttavia riconosciuto la responsabilità in capo alla Asl.

L’Azienda sanitaria è stata condannata al pagamento di circa 13mila euro, oltre alle spese di lite , per altri 4.800 euro.

Secondo i giudici, infatti, l’ingresso all’interno di un pronto soccorso da parte di un paziente comporta l’insorgere, in capo al personale medico e paramedico, del dovere di prestazione di opera intellettuale.

Al fianco di tale l’obbligo sorge anche quello, in capo alla struttura, di eseguire prestazioni accessorie; tra queste rientra il deposito degli effetti personali e degli indumenti tolti al paziente durante le operazioni di rianimazione.

La sottrazione di beni ed effetti personali a un soggetto in fin di vita, sottolinea il Tribunale, è “un gesto vile e ripugnante”. Oltre a ciò ingenera negli stretti congiunti del danneggiato, non solo il dolore per la perdita improvvisa del loro familiare, ma anche “una ulteriore notevole sofferenza e sensazione di impotenza”. Un stato derivante “dal grave oltraggio subito da un persona legata a loro da rapporto affettivo del tutto inerme di fronte ad un gesto di grande vigliaccheria”.

 

 

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