La Corte dei Conti, con delibera del 30 marzo scorso, ha definito il nuovo contratto degli statali ‘deludente’. Ecco come ha motivato il proprio giudizio

Bocciatura della Corte dei Conti in merito al nuovo contratto degli statali. Secondo i giudici contabili, infatti, il rinnovo è “deludente” anche perché contiene solo aumenti tabellari.

La Corte, che comunque aveva espresso parere positivo sull’accordo per il rinnovo per i 250mila dipendenti pubblici, ha ritenuto il nuovo contratto degli statali non all’altezza.

Il contratto, insomma, si limiterebbe ad aumentare i tabellari. E soprattutto, non fa alcun cenno ad un incremento basato sulla produttività per gli impiegati di ministeri, Agenzie ed enti come Inps e Cnel.

La delibera sul rinnovo contrattuale del comparto Funzioni centrali 2016-2018 è quella depositata il 23 marzo.

Nello specifico, i giudici contabili sostengono che nel nuovo contratto degli statali, quando si tratta di certificare la compatibilità economica di incrementi contrattuali, il parametro autentico “non può prescindere da una valutazione degli effetti della contrattazione, in termini di recupero della produttività del settore pubblico”.

Pertanto, su questo versante “l’ipotesi all’esame si rivela complessivamente deludente”.

Soprattutto se si considera che i fondi messi a disposizione risultano “esclusivamente per corrispondere adeguamenti delle componenti fisse della retribuzione”.

E non è tutto.

La Corte dei Conti ha poi ricordato la Riforma Brunette. In quel caso, ha rammentato, la normativa “affidava alla contrattazione collettiva il compito di procedere ad una sostanziale ridefinizione delle componenti variabili della retribuzione, da destinare prevalentemente a finalità realmente incentivanti e premiali”.

I giudici sostengono inoltre un altro aspetto cruciale.

Vale a dire, la necessità di stabilire “un quadro programmatico di riferimento per la crescita della spesa di personale”.

Nella delibera si specifica inoltre che gli incrementi retributivi del 3,48% della massa salariale, in modo da consentire aumenti medi mensili pari a 85 euro già da marzo 2018, sono “importi superiori a quelli previsti nel caso in cui si fosse applicato l’indice Ipca o il tasso di inflazione programmato”.

In buona sostanza, da un lato la Corte ha certificato la compatibilità economica del nuovo contratto.

Dall’altro, però, “in mancanza di un predefinito parametro di riferimento la verifica della compatibilità economica dei costi contrattuali si rivela, pertanto, di non facile percorribilità”.

 

 

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