Con sentenza pronunciata nel giugno del 2011 il Tribunale di Reggio Calabria assolveva tre imputati dal reato di concorso in omicidio colposo per non avere commesso il fatto

Quest’ultimi rispondevano del reato ascritto perché, in cooperazione tra loro, nella qualità di proprietari dell’appartamento posto al primo piano di un condominio, omettevano di installare, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e in violazione delle norme di legge, un interruttore differenziale da 30 mA. (c.d. “salvavita”) nell’impianto elettrico relativo al predetto appartamento, cagionando così, la morte di un elettricista avvenuta per elettrocuzione.

L’evento si era verificato allorquando la predetta vittima stava eseguendo i lavori di rifacimento e adeguamento dell’impianto elettrico a servizio delle parti comuni del condominio (luce scale, sostituzione dell’impianto citofonico, ascensore, nonché dei pulsanti dei campanelli ai piani dei singoli appartamenti). Senonché toccando un conduttore proveniente dall’appartamento posto al primo piano, di proprietà degli imputati e relativo all’impianto elettrico che serviva lo stesso appartamento (privo del “salvavita” – e di adeguata “messa a terra dell’impianto”), moriva fulminato.

Il giudizio di primo grado

Il giudice di primo grado, all’esito dell’istruttoria dibattimentale svoltasi anche con l’espletamento di diverse perizie e con il deposito di consulenze tecniche delle parti, era giunto ad una valutazione liberatoria nei confronti dei predetti imputati, non ravvisando in questi ultimi, la titolarità di posizioni di garanzia.

Ed infatti, il committente dell’opera era il condominio cioè, un’entità giuridica diversa dai singoli condomini, cui non competeva, nella fattispecie in esame, la predisposizione di cautele antinfortunistiche. Veniva al riguardo sottolineato che la vittima era un professionista, regolarmente iscritto alla camera di commercio e titolare dal 1993 di un’impresa, che aveva quale ragione sociale proprio l’installazione di impianti elettrici e, dunque, di un soggetto in possesso di idonee competenze tecniche che era stato incaricato dal condominio di adeguare a norma un impianto vetusto; circostanza questa che avrebbe dovuto indurlo ad utilizzare tutte le precauzioni del caso e, soprattutto, i presidi di sicurezza previsti dalla legge.

Inoltre riteneva carente la prova del nesso eziologico tra la condotta addebitata agli imputati con l’evento lesivo non potendosi affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la presenza dell’interruttore differenziale avrebbe impedito il verificarsi dell’evento letale.

Evidenziava, al riguardo, che l’operaio avrebbe dovuto essere consapevole della presenza di parti in tensione, pur dopo la disalimentazione dell’impianto condominiale, perché l’incarico affidatogli comprendeva anche la sostituzione dei pulsanti dei campanelli degli appartamenti i cui fili elettrici confluivano anch’essi nella cassetta, unitamente ad altri, in una confusa promiscuità tra quelli comuni e quelli privati.

Ed infine, sottolineava che, l’attività lavorativa era connotata da imprudenza ed imperizia della stessa vittima che, al momento dell’infortunio, indossava un vestiario del tutto inadeguato e non indossava alcun efficace sistema di prevenzione individuale, ovvero guanti, tuta o scarpe isolanti, ciascuno dei quali, anche singolarmente, sarebbe stato idoneo a scongiurare l’evento.

La sentenza della Corte d’appello

Diversa soluzione quella a cui giungeva la corte territoriale, la quale attribuiva agli imputati la titolarità di una posizione di garanzia, con assunzione dei relativi oneri di previsione e valutazione dei rischi, ancorandola all’art. 2051 c.c. e alle norme CEI in tema di impianti civili ed evidenziando che i predetti avevano l’obbligo di informare la vittima chiamato ad intervenire, anche su loro committenza, sulle parti comuni, rappresentandogli che l’impianto elettrico del quadro installato nell’appartamento di loro proprietà e di cui ragionevolmente la vittima non aveva ritenuto di dovere prendere diretta visione non era conforme alle norme di sicurezza in quanto privo del dispositivo di protezione – c.d. “salvavita” – e di adeguata messa a terra dell’impianto.

Il rispetto di tali regole cautelari avrebbe quantomeno imposto, di togliere l’alimentazione all’impianto elettrico individuale neutralizzando così la fonte di pericolo.

Sulla vicenda si sono pronunciati infine, i giudici della Cassazione che hanno accolto il ricorso dei tre imputati.

Interessante è l’analisi della posizione di garanzia del condominio, soggetto committente dei lavori, ripercorrendo l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, in particolar modo a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 494 del 1996 quando la figura del committente dei lavori ha trovato un esplicito riconoscimento normativo negli artt. 2, comma 1, lett. b) e 3 (applicabile ratione temporis), poi trasfusi nel D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 26 e segg..

Ebbene, «tale innovazione normativa ha trasformato la figura del committente da soggetto privo di autonoma responsabilità a soggetto che riveste responsabilità proprie anche se temperate dal principio (Sez. 4, n. 27296 del 02/12/2016; Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012) che dal predetto non può esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori e che occorre verificare quale sia stata l’incidenza della sua condotta.

Di conseguenza occorre verificare, in concreto, quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente-di situazioni di pericolo».

Ed ancora, «quanto al committente che può in qualche modo definirsi “non qualificato” in quanto assume decisioni circa la natura delle opere da svolgere ma è privo di specifiche competenze per la loro esecuzione, come quello che appalta lavori di tipo domestico, è stato affermato (cfr. Sez. 4, n. 40922 del 24/09/2018) che il medesimo, in assenza della redazione di un documento di valutazione dei rischi o della nomina” di un responsabile dei lavori cui sia conferito anche il compito di realizzare la sicurezza del cantiere prima della realizzazione delle opere, ha l’onere generalissimo di mettere il prestatore di opera nella condizione di operare in sicurezza. E ciò, non solo segnalando i pericoli, ma provvedendo alla loro eliminazione prima dell’inizio dell’attività per neutralizzare le possibili fonti di pericolo».

La decisione

Sotto tale profilo – affermano gli Ermellini – diventa dirimente individuare, in concreto, l’oggetto della prestazione di opera incombendo sull’esecutore i rischi propri inerenti alle specifiche lavorazioni contrattualmente assunte mentre i rischi derivanti dalla conformazione dei luoghi sono imputabili al committente”.

Ebbene, tale accertamento era mancato nell’iter argomentativo della Corte territoriale, che aveva invece,  erroneamente, ritenuto unica causa dell’evento l’assenza di “salvavita” nell’appartamento degli imputati.

Anche sotto il profilo del nesso di causalità tra la violazione della regola cautelare e l’evento lesivo, non risultava adeguatamente approfondita la tematica della possibile interferenza, sull’evento, dei decorsi causali alternativi prospettati dalla difesa.

«L’affermazione di responsabilità degli imputati si poggiava, pertanto, su argomentazioni manifestamente non adeguate al raggiungimento dello standard probatorio in quanto anche il c.d. giudizio controfattuale è stato formulato in termini non rispondenti ai criteri di certezza processuale».

Per tutti questi motivi, la decisione impugnata è stata cassata con rinvio al giudice civile per una nuova valutazione dei fatti.

La redazione giuridica

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