Un chirurgo, non dipendente dell’Asl, operò la moglie senza avere l’autorizzazione dell’ospedale e sostituendosi a una collega. Sono entrambi indagati.

È stato aperto un procedimento penale a carico di due chirurghi: uno dei due, operò la moglie alla Asl di Trento senza esserne dipendente, mentre l’altra è la dottoressa cui il medico si è sostituito nel corso dell’intervento.

Eppure, sul registro operatorio venne indicato che ad eseguire la delicata operazione chirurgica era stata come prima operatrice una dottoressa del Santa Chiara. La stessa che aveva poi compilato il verbale.

Ma fu il marito medico che operò la moglie quando avrebbe dovuto solo assistere, quel 22 maggio del 2017.

La vicenda ha portato quindi all’apertura di un procedimento penale che vede imputati entrambi i chirurghi: colei che compilò il registro indicando erroneamente se stessa come prima operatrice deve rispondere di falso in atto pubblico.

Il medico che operò la moglie è invece accusato di concorso morale in falso.

L’operazione, in ogni caso, è andata a buon fine ed entrambi i sanitari sono medici di lunga esperienza. Tuttavia, in quella che agli occhi dei più potrebbe apparire un problema solo apparentemente di forma, è una questione assai seria.

Infatti, se qualcosa fosse andato storto, difficilmente l’assicurazione dell’Azienda sanitaria avrebbe pagato un eventuale risarcimento di fronte ad un intervento fatto in una sala operatoria del Santa Chiara da un chirurgo che non fosse stato dipendente dell’Azienda sanitaria di Trento.

Infatti, proprio in virtù di questo, la direzione dell’ospedale, informata di quanto avvenuto, ha segnalato tutto alla magistratura.

Le indagini si sono concluse con la richiesta, accolta dal giudice, di due decreti penali di condanna da 27 mila euro.

Entrambi gli imputati, convinti di non aver commesso alcun reato, hanno però deciso di fare opposizione.

A quel punto, il procedimento penale si è diviso in due filoni.

Il chirurgo che operò la moglie pur essendo esterno alla Asl ha scelto il processo con rito abbreviato condizionato all’audizione di due testimoni. La collega chirurgo del Santa Chiara, invece, ha preferito invece la strada del pubblico dibattimento.

In entrambi i procedimenti si è costituita parte civile, con l’avvocato Monica Baggia, anche l’Azienda sanitaria che chiede il risarcimento dei danni non patrimoniali.

Resta ora da capire cosa è accaduto esattamente quel giorno.

Quel che è certo è che fu la moglie del primario a scegliere di essere operata a Trento.

Al marito sarebbe stato consentito di assistere all’intervento, ma non di prendere parte attiva.

Eppure, il medico che operò la moglie ha sostenuto in sua difesa di aver preso il bisturi in mano perché l’anestesista aveva scarsa esperienza. E poi, perché il secondo operatore era una specializzanda in chirurgia.

Da un punto di vista penale, le ragioni di questo cambio in sala operatoria sono irrilevanti.

Ciò che conta però è la compilazione del verbale nel registro operatorio,

In esso, la dottoressa non fece alcun accenno alla presenza attiva del collega esterno. Solo alcuni giorni dopo nel registro è stato inserito un verbale più completo con i nomi dei presenti.

Sarà ora il processo a chiarire quanto è accaduto e soprattutto perché.

 

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