Ricercatori dell’Ateneo di Padova hanno scoperto gli effetti benefici per la celiachia di una molecola chimica utilizzata per il trattamento di pazienti malati di Fibrosi Cistica

La celiachia è una malattia permanente dovuta a una reazione autoimmune in seguito all’assunzione dietetica di glutine. Questo, a sua volta, è costituito da gliadine e dai loro frammenti che sono in grado di causare un’infiammazione che danneggia il rivestimento dell’intestino. Una ricerca condotta presso l’Università di Padova ha evidenziato come il più importante di tali frammenti (P31-43) sia in grado di legarsi ad una proteina, il canale del cloro CFTR, inibendone l’attività e causando, attraverso l’attivazione dell’enzima Transglutaminasi 2, il tipico stress epiteliale che si riscontra nella celiachia. A spiegarlo è Giorgio Cozza, del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Ateneo veneto.

Questi risultati sono stati ottenuti utilizzando molteplici approcci.

Partendo da studi computazionali fino a studi in vivo, passando attraverso analisi biochimiche, di biologia cellulare e molecolare. “È interessante notare che un simile squilibrio delle cellule epiteliali intestinali avviene anche nei pazienti malati di Fibrosi Cistica”. A sottolinearlo è il Dott. Andrea Venerando, del Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione.

Grazie a questo collegamento, i ricercatori hanno proposto un approccio terapeutico innovativo, sfruttando una molecola chimica utilizzata per il trattamento di pazienti malati di Fibrosi Cistica. L’utilizzo di Ivacaftor ha mostrato risultati incoraggianti. Sia in vivo, su modelli di topo sensibile al glutine, che ex vivo su cellule e tessuti prelevati da pazienti celiaci. In particolare, gli studiosi hanno dimostrato che l’Ivacaftor protegge le cellule epiteliali dagli effetti dannosi della gliadina. Inoltre, previene le manifestazioni intestinali indotte dalla ingestione di glutine in topi sensibili.

Lo studio è stato svolto da una importante cordata italiana guidata dal Prof. Maiuri dell’Università del Piemonte Orientale. Hanno collaborato Università e centri di ricerca nazionali e internazionali. Il lavoro è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista “The Embo Journal”.

 

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