Può la struttura sanitaria, quale responsabile civile per l’operato del medico, avere interesse a chiedere il riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto?

La particolare tenuità del fatto è il tema centrale risolto dalla Suprema Corte con le motivazioni espresse nella sentenza n. 38007 del 2018.

I fatti

Un medico viene ritenuto colpevole del reato di lesioni gravi ai danni di in paziente che a esso si era rivolto per un accertamento diagnostico con infusione di liquido di contrasto e viene condannato alla pena di mesi due di reclusione. Il sanitario e la clinica di cui fa parte, in qualità di responsabile civile, vengono condannati in solido al risarcimento del danno in favore della parte civile con una provvisionale immediatamente esecutiva di 30.000 euro.

Il sanitario aveva iniettato il mezzo di contrasto nel braccio destro del paziente per effettuare una Tac, nonostante la raccomandazione di non sottoporre l’arto a sollecitazioni dopo che l’uomo aveva subìto l’asportazione dei linfonodi ascellari per una patologia tumorale.

A sua difesa il professionista invocava l’assenza di linee guida in merito all’applicabilità o meno della legge n. 24/2017 (articolo 590-sexies del Codice penale). La condotta del medico non poteva infatti essere qualificata come imperizia, in quanto l’errore non era avvenuto in fase esecutiva, ma ancora prima, al momento della scelta dell’arto sul quale praticare il trattamento, facendo così scattare una colpa cosciente che rientra nel campo della negligenza.

L’inosservanza di una regola cautelare

Gli Ermellini osservano che, a prescindere dal fatto che l’imputazione attiene ad un fatto colposo commissivo ben determinato, rappresentato dall’avere il medico iniettato il liquido di contrasto propedeutico all’esecuzione di una TAC senza osservare specifiche cautele e raccomandazioni, al cui rispetto era stato espressamente invitato ad attenersi l’articolazione si

presenta del tutto generica, assertiva e non affronta alcuno degli argomenti spesi dai giudici di merito per fondare il giudizio di responsabilità del sanitario sia in relazione alla ricorrenza di una condotta imprudente e negligente, sia in relazione alla ricorrenza di una relazione causale tra la condotta del sanitario e il processo infettivo latore della patologia occorsa al paziente.

La Corte rammenta che in punto di vizio motivazionale, compito del giudice di legittimità, in base alla normativa vigente, è quello di accertare la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, non già quello di stabilire se la stessa proponga la migliore ricostruzione dei fatti.

Tra l’altro, neanche il giudice di legittimità è tenuto a condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia coerente con una valutazione di logicità giuridica della fattispecie nell’ambito di una adeguata opinabilità di apprezzamento e ciò perchè l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, essendo estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (cfr. ex pluribus: Cass. n. 12496/99, 2.12.03 n. 4842, rv 229369, n. 24201/06).

È stato affermato, in particolare, che la illogicità della motivazione, censurabile a norma del citato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata (Cass. SU n. 47289/03 rv 226074).

E questi principi sono stati ribaditi anche dopo le modifiche apportate all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) dalla L. n. 46 del 2006, che ha introdotto il riferimento ad “altri atti del processo”, ed ha pertanto, ampliato il perimetro d’intervento del giudizio di cassazione, in precedenza circoscritto “al testo del provvedimento impugnato”.

Infatti, la nuova previsione legislativa non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane comunque un giudizio di legittimità, nel senso che il controllo rimesso alla Corte di cassazione sui vizi di motivazione riguarda sempre la tenuta logica e la coerenza strutturale della decisione.

La mancata verifica del rispetto delle linee guida

Su tale aspetto la Corte osserva che per gli effetti di cui all’art.590 sexies cod.pen. a seguito delle modifiche introdotte dalla novella sulla riforma della responsabilità del sanitario, a prescindere dalla palese genericità dell’assunto e dell’assenza di qualsiasi riferimento alla esistenza di linee guida in materia di accertamenti diagnostici quali la TAC, il giudice di appello ha chiaramente escluso la riconducibilità dei profili di colpa ascritti al sanitario al novero della imperizia, in presenza di errore occorso non già in sede esecutiva, ma nella individuazione e nella scelta dell’arto del paziente sul quale praticare il trattamento, indicando una colpa cosciente evidentemente da ascriversi al campo della negligenza.

Il riconoscimento della causa di non punibilità

Sotto un primo profilo il ricorso della clinica, sul punto, viene ritenuto inammissibile dalla Corte poiché investe la statuizione di condanna penale dell’imputato che, riconosciuto colpevole del delitto di lesioni personali gravi non ha proposto impugnazione, rendendo pertanto irrevocabile la suddetta statuizione nei propri confronti, così da ritenersi non più suscettibile di modifica.

Sotto diverso profilo, la Corte osserva che il responsabile civile risulta privo di interesse a dedurre il vizio denunciato, ritenendo che la verifica dell’interesse all’impugnazione rileva esclusivamente se il gravame è idoneo ad eliminare una situazione pregiudizievole per l’impugnante, determinando una situazione più favorevole di quella esistente (cfr. Cass. sez. III, 24.3.2010, Abagnale, Rv. 247685).

Ebbene, nel caso in esame, avendo l’imputato omesso di impugnare la statuizione di condanna, essa ha assunto definitività ai fini penali, ed ai fini civili l’interesse del responsabile civile ad ottenere una formula di proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen. risulta impedito dagli effetti riconosciuti dal legislatore alla suddetta statuizione, poiché ex dell’art. 561 bis c. p. essa ha effetto di giudicato nel giudizio civile “quanto all’accertamento del fatto, alla sua   illiceità   penale   e   alla   affermazione   che   l’imputato   lo ha commesso”, precludendo anche sotto questo versante alcun vantaggio alla posizione del responsabile civile in ipotesi di accoglimento della doglianza proposta.

Il ricorso è stato dichiarato inammissibile in tutte le sue articolazioni e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cass. sent. n. 186 del 13.6.2000), la clinica ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese del procedimento, della sanzione pecuniaria e a rifondere le spese di difesa del grado alla parte civile.

 

Avv. Maria Teresa De Luca

 

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