Parto in anonimato: il diritto al riconoscimento da parte della madre biologica è di carattere indisponibile e può essere validamente esercitato anche nel caso in cui la genitrice non abbia proceduto al riconoscimento, nell’immediatezza del parto

Nasceva con un parto in anonimato il minore non riconosciuto dai propri genitori biologici che veniva “affidato” ad un procedimento di adozione abbreviata ai sensi dell’art. 11 l. 184/1983 avanti al Tribunale per i minorenni di Perugia.

A distanza qualche tempo, la madre del piccolo presentava istanza per ottenere la sospensione della procedura per la dichiarazione dello stato di adottabilità, con contestuale richiesta di riconoscimento della maternità, precisando che, dopo il parto in anonimato, aveva mutato la propria volontà.

Il Tribunale per i minorenni di Perugia, respingeva la domanda di sospensiva dichiarando, peraltro, inammissibile la domanda di riconoscimento del minore.

La Corte d’Appello di Perugia, pur dando atto che la richiesta di sospensione del procedimento avente ad oggetto la dichiarazione di adottabilità era stata tempestiva, rilevava che il Tribunale per i minorenni di Perugia, aveva già dichiarato lo stato di adottabilità del minore e di conseguenza l’appello proposto dovesse ritenersi inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

In altre parole, ritenevano i giudici dell’appello che doveva ritenersi venuto meno l’interesse ad impugnare la decisione che aveva negato la sospensione del procedimento di adottabilità, dal momento che il procedimento era ormai definito.

Il ricorso in Cassazione

Con il primo motivo di ricorso la madre del bambino denunciava la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 11, commi 2 e 5, legge 184/1983: la Corte territoriale non avrebbe, infatti, tenuto conto della circostanza determinante costituita dal fatto che la sentenza di adottabilità era stata emessa dal Tribunale per i minorenni di Perugia nonostante fosse già stata depositata, tempestivamente e in epoca anteriore alla dichiarazione di adottabilità, l’istanza di sospensione della procedura di adozione (prevista dall’art. 11, comma 2, legge 184/1983).

La dichiarazione di adottabilità, pronunciata in mancanza dei suoi presupposti, doveva pertanto essere revocata. Tale argomento era stata già introdotto -seppure con esisto negativo -davanti ai giudici della corte territoriale, posto che il diritto al riconoscimento da parte della madre biologica è di carattere indisponibile e può essere validamente esercitato anche nel caso in cui la genitrice non abbia proceduto al riconoscimento nell’immediatezza del parto.

Il Tribunale per i minorenni prima e la Corte d’Appello poi, negando in maniera del tutto arbitraria la concessione del termine per addivenire al riconoscimento, avrebbero invece di fatto svuotato il diritto della madre al ripensamento.

È quello che pensano i giudici Ermellini.

“La Corte territoriale ha ritenuto che la sentenza del Tribunale dei minori dichiarativa dello stato di adottabilità del minore, facesse venir meno in questo diverso procedimento l’interesse della madre biologica a impugnare la sentenza depositata quasi un mese prima, con cui il medesimo Tribunale minorile aveva in precedenza rigettato la sua richiesta di sospensione del procedimento di adottabilità e dichiarato inammissibile la domanda di riconoscimento del minore”.

“Una simile statuizione – aggiungono i giudici della Suprema Corte – è sfornita di base normativa, dato che, come espressamente prevede l’art. 11, ultimo comma, l. 184/198, il riconoscimento materno dopo il parto in anonimato non era precluso dalla sopravvenuta declaratoria di adottabilità del minore e sarebbe stato (non nullo ma) inefficace solo se questa declaratoria fosse stata seguita dall’affidamento preadottivo, che invece nella specie non pare che all’epoca fosse in atto. La Corte territoriale non avrebbe perciò potuto riscontrare il venir meno dell’interesse a impugnare la sentenza di primo grado, ben potendo l’appellante ancora procedere, se lo avesse voluto, al riconoscimento del figlio”.

 

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