Ecco come alcuni recenti interventi giurisprudenziali e ministeriali hanno inciso sul patrocinio a spese dello Stato e relativi compensi

L’istituto del patrocinio a spese dello Stato, anche noto come gratuito patrocinio, è previsto dalla legge italiana. L’obiettivo è assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi innanzi a ogni giurisdizione.

L’istituto del patrocinio a spese dello Stato è inoltre disciplinato dal Testo unico in materia di spese di giustizia (d.P.R. n. 115/2002).

Questo si occupa di definire le condizioni per esservi ammessi. Così come le modalità di presentazione dell’istanza di ammissione.

Oltre a questo, stabilisce le modalità con le quali gli avvocati che prestino la propria opera possano vedersi corrisposti onorari e spese.

Questo tema è particolarmente delicato e la più recente giurisprudenza di legittimità e di merito vi è ritornata sopra, fornendo chiarimenti ulteriori e linee guida.

Di recente è partita proprio dal Consiglio Nazionale Forense una richiesta di riforma presentata a Roma lo scorso 21 febbraio per garantire maggior inclusione ed efficacia all’istituto del patrocinio a spese dello Stato..

A inizio anno è stato proprio il Guardiasigilli, con una circolare datata 10 gennaio, a fornire chiarimenti sull’applicazione dell’art. 83 del d.P.R. n. 115/2002.

Per il ministero, la norma ha lo scopo di rendere più celere la liquidazione dei compensi spettanti all’avvocato per l’attività difensiva prestata in favore della parte ammessa al patrocinio dello Stato.

Non solo, però. Si chiarisce che il provvedimento di liquidazione del compenso (decreto di pagamento) dovrà essere emesso con atto distinto e separato rispetto al provvedimento che definisce il giudizio.

Il Ministero precisa inoltre che non può condividersi la pratica di alcuni uffici giudiziari che, a fronte dell’istanza di liquidazione del compenso del legale, richiedono accertamenti all’ufficio finanziario sulla effettiva situazione reddituale della parte assistita.

In questo modo, viene di fatto rimandato all’esito degli stessi l’adozione del decreto di pagamento.

Sempre sul tema del patrocinio a spese dello Stato, una circolare del Ministero della Giustizia del 8 giugno 2018 ha chiarito un aspetto importante.

Alla procedura di compensazione dei debiti fiscali di cui al d.m. 15 luglio 2016, devono ammettersi anche i crediti che vengono liquidati a favore di avvocati difensori d’ufficio per le attività svolte nel processo penale. E questo, laddove non riescano a riscuoterli per irreperibilità del cliente.

Oppure, dopo aver esperito senza esito positivo le procedure per il recupero dei crediti professionali.

C’è poi una recente ordinanza emessa dalla Cassazione sul tema, la n. 14485/2018.

Per gli Ermellini, il giudice chiamato a liquidare gli onorari ai legali chiamati a svolgere attività di patrocinio a spese dello Stato non può limitarsi a un generico richiamo, quale criterio di liquidazione, alla tariffa professionale vigente.

Questi dovrà, invece, esternare la necessaria valutazione circa le effettive attività professionali indicate. E, non in ultimo, avrà il compito di effettuare una valutazione dell’impegno professionale richiesto dalla questione giuridica trattata.

Ancora, secondo la Corte Costituzionale (sentenza n. 16/2018), è legittimo non pagare il compenso all’avvocato che deposita un ricorso inammissibile per una ragione che era prevedibile già prima del deposito.

Ciononostante, lo Stato è di norma tenuto a coprire gli esborsi per qualsiasi tipologia di azione.

Il tutto includendo anche la parte relativa alla mediazione obbligatoria per la quale sia indispensabile la figura dell’avvocato.

Da segnalare, infine, una sentenza del Consiglio Nazionale Forense (CNF, sent. 76/2018).

Secondo quest’ultima, i difensori della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non potranno chiedere la distrazione delle spese in quanto anticipate dall’Erario.

Questa richiesta, infatti, risulterebbe incompatibile con l’ammissione al beneficio, anche a prescindere dall’anteriorità o meno del relativo decreto rispetto alla domanda ex art. 93 del codice di procedura civile.

 

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