Nel caso in esame ci si domanda se il diritto ad ottenere la pensione di reversibilità, in caso di morte del coniuge separato, spetti anche al coniuge che al momento del decesso di quest’ultimo, non fruiva dell’assegno di mantenimento

La ricorrente era una vedova separata, cui non era stato riconosciuto il diritto all’assegno di mantenimento a carico dell’altro coniuge. Senonché, alla morte di quest’ultimo, presentava azione giudiziale volta ad ottenere il diritto alla pensione di reversibilità.
In primo grado la domanda veniva respinta, con sentenza confermata anche in appello.
Ed invero, secondo la corte territoriale, posto che la donna non fruiva dell’erogazione di alimenti in capo all’ex coniuge, non aveva alcun diritto per rivendicare, dopo il suo decesso l’attivazione di un trattamento previdenziale a suo vantaggio; ciò in quanto la pensione di reversibilità non è solo la prosecuzione in favore di terzi del pregresso diritto a pensione dell’avente titolo, ma è la prosecuzione in favore di terzi aventi diritto.

Ma è proprio così?

Contro la predetta pronuncia, l’originaria ricorrente presentava ricorso per Cassazione adducendo la violazione di legge e l’errore commesso dai giudici di merito che così facendo, avrebbero disatteso l’orientamento giurisprudenziale prevalente, secondo cui: “la pensione di reversibilità va riconosciuta non solo al coniuge in favore del quale il coniuge defunto era tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento, ma a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 286/1987, anche al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge (separato o non) e in favore del quale non opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte, assolvendo il trattamento alla funzione di sostentamento in precedenza indirettamente assicurato dalla pensione in titolarità del coniuge defunto”.
Resisteva in giudizio l’Inps.

Ma i giudici della Cassazione hanno accolto il ricorso principale perché fondato.

Più in particolare, gli Ermellini hanno precisato che dopo la riforma dell’istituto della separazione personale, introdotto dal novellato art. 151 c.c. e dopo la sentenza citata della corte costituzionale non è più giustificabile il diniego, al coniuge cui, a suo tempo, era stata addebitata la separazione, di una tutela che assicuri la continuità dei mezzi di sostentamento che il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornirgli.
Se è vero infatti, che i giudici delle Leggi hanno inteso equiparare con certezza la separazione per colpa a quella con addebito, l’interprete non è certo autorizzato a ritenere che sia residuata una differenza di trattamento per il coniuge superstite separato, in ragione del titolo della separazione”.
La ratio della tutela previdenziale contenuta nella norma citata è, infatti, proprio quello di porre il coniuge superstite al riparto dall’eventualità dello stato di bisogno, senza che tale stato di bisogno divenga (anche per il coniuge separato per colpa o con addebito) concreto presupposto e condizione della tutela medesima.
Per tali ragioni la sentenza della corte territoriale è stata cassata con accoglimento della domanda principale proposta dalla ricorrente nei confronti dell’INPS.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 
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