Il problema non è concettuale, ma sta nella concreta consapevolezza della differenza tra possibilità e certezza civilistica: perdita di chances e tumori, il tema che scotta.

Imbattersi in sentenze come quella allegata dove il nesso tra perdita di chances e tumori è solo una “errata certezza”, sconforta.

E’ chiara la percezione del giudice relatore che ha dei malati oncologici: entro 5 anni devono morire!

Non è una battuta, cari lettori, ma è il pensiero di chi scrive che un paziente oncologico, il cui tumore ha la probabilità all’80% di non recidivare, è defunto!

Quindi per questo giudice, un errore medico che toglie al paziente la probabilità dell’80% di sopravvivere a 5 anni, toglie solo la speranza di non morire e non una concreta probabilità.

Nella sentenza il giudice si sforza molto di spiegare la differenza tra la “possibilità di raggiungere un obiettivo” e “il mancato raggiungimento” di tale obiettivo riferendosi a varie pronunce della Suprema Corte, ma non ne coglie il “succus”.

Il problema serio sta nell’interpretare il senso dei dati statistici che tutto rappresentano, tranne che la certezza, specie se si discute di malattie oncologiche.

Affermare che due eventi sono legati causalmente tra loro con “certezza” significa che questi due eventi sono uno conseguenza certa dell’altro (causalità materiale), mentre concludere che due eventi sono probabilmente uno conseguenza dell’altro, significa escludere la certezza e dare spazio alla causalità giuridica, ossia quella della probabilità o della possibilità causale.

Se è vero che la causalità penalistica esprime il legame tra due eventi “oltre ogni ragionevole dubbio” e la causalità civilistica, invece, il legame tra due eventi secondo il concetto del “più probabile che non” o della “preponderanza dell’evidenza”, tutto ciò che non sottostà a questi criteri assume i caratteri della c.d. “possibilità” (perdita di chances).

Fatte queste premesse andiamo ad analizzare il concetto statistico della sopravvivenza a 5 anni dei malati oncologici.

Consideriamo che la certezza del verificarsi di un evento equivale ad una probabilità del 100%, l’impossibilità, al contrario, equivale allo 0%.

Immaginiamo dunque tutta la causalità nello spazio compreso tra lo 0% e il 100% e rifacciamoci ai concetti civilistici e penalistici suddetti.

Non si può non dedurre che il legame causale tra due eventi più è prossimo al 100% più è certo, mentre più è prossimo allo 0% meno è probabile fino a divenire mera possibilità che nulla ha a che vedere con il nesso causale tanto da slegare il “laccio” tra i due eventi (l’errore diventa in questo caso solo danno evento che è la vera mera perdita di chances che da subito entra nel patrimonio del soggetto che l’ha subita e che va risarcita indipendentemente dalla possibilità di raggiungere o meno un obiettivo).

Evitando di entrare nel merito sulla differenza tra le probabilità logiche e quelle statistiche, specie in un argomento come quello delle malattie oncologiche, le probabilità statistiche rappresentano, in tale campo, l’unico riferimento numerico per definire il “peso” del nesso causale giuridico.

Tornando al concetto di sopravvivenza dei malati oncologici dovremo distinguere tra:

  • Guarigione clinica dal tumore asportato con sopravvivenza maggiore di 5 anni fino alla guarigione definitiva della malattia;
  • Sopravvivenza max fino a 5 anni.

Partendo dal concetto che la certezza nelle malattie oncologiche la può avere solo il nostro Creatore, dobbiamo ragionare necessariamente sulle probabilità di sopravvivenza al tumore secondo il concetto civilistico della causalità (come nel caso rappresentato in sentenza).

Un dato statistico di sopravvivenza superiore al 50% rappresenta la c.d. “certezza civilistica” e corrisponde al “mancato raggiungimento di un risultato”.

Dunque un paziente oncologico come quello descritto in sentenza, che aveva l’80% di sopravvivere a 5 anni, non può essere considerato come un paziente che al massimo vivrà 5 anni (come, invece, considerato dal Giudice), ma come un paziente che concretamente guarirà dalla malattia o che comunque vivrà più a lungo dei 5 anni raggiungendo eventualmente l’età media di sopravvivenza o l’eventuale morte per altre cause (elemento incerto e non valutabile in concreto).

Al contrario, un paziente con una percentuale di sopravvivenza al di sotto del 50% a 5 anni, può essere considerato verosimilmente un paziente la cui sopravvivenza non andrà oltre i 5 anni (anche se è una deduzione forzata in termini logico-matematici) per cui l’errore medico ha inciso negativamente solo sulle c.d. chances di sopravvivenza la cui percentuale in concreto servirà per la valutazione del risarcimento del danno.

Se prendiamo il caso esposto in sentenza, il paziente è deceduto al terzo anno del follow-up (precisamente 17 mesi prima del termine del quinto anno) per cui il danno conseguenza causato dall’errore medico ha “negato” al paziente di vivere quasi due anni di meno.

Tale conclusione va però corretta in quanto partorita da due fatti errati:

  • quello che i pazienti oncologici entro i 5 anni muoiono. E ciò è dimostrato dal ragionamento che fa il Giudice, il quale riduce il valore del risarcimento attribuito ai presupposti 17 mesi di ulteriore possibile sopravvivenza (circa 90mila euro) del 20%.
  • Dato di sopravvivenza istat che nel 2011 era di 79 anni e non di 85 (vedasi allegato pdf).

Ergo, il paziente, in assenza di errore medico, aveva concrete possibilità di raggiungere l’obiettivo della sopravvivenza media, per cui l’errore medico è stato causa del “mancato raggiungimento di un risultato” e non della possibilità di raggiungerlo, quindi andrebbe liquidato con un risarcimento tabellare integrale.

Insomma questa sentenza (che trovate allegata in pdf con personali ulteriori commenti), secondo lo scrivente, è un disastro e va appellata…anche se il Giudice ha affermato che nelle conclusionali gli attori parlavano anch’essi di perdita di chances!

Quali sono le conclusioni?

Che nella vita bisogna avere la fortuna di trovare sia il Giudice adeguato che i difensori!

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

 

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