I giudici della Cassazione hanno annullato la sentenza del Tribunale di Venezia che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato ad un dipendente per aver indebitamente utilizzato i permessi sindacali

Si trattava di un dirigente sindacale, licenziato dalla propria azienda perché nel corso di quattro giornate di assenza per permessi sindacali si era dedicato a tutt’altre attività, ricreative e avulse dalle finalità di partecipazione alle riunioni degli organismi sindacali.

Cosicché il lavoratore aveva impugnato il provvedimento di licenziamento dapprima dinanzi al Tribunale di Treviso, che aveva pronunciato sentenza di rigetto dell’istanza, e successivamente dinanzi alla Corte d’appello di Venezia, che, al contrario aveva condannato la società a reintegrare il proprio lavoratore.

Cosicché quest’ultima decideva di rivolgersi ai giudici della Cassazione, affidandosi ad un unico motivo di ricorso.

L’errore commesso dai giudici dell’appello sarebbe stato quello di ritenere che l’indebita utilizzazione dei permessi richiesti ex art. 30 St. Lav. comportasse semplicemente la perdita del diritto alla relativa retribuzione e non anche  una sanzione disciplinare.

L’argomento convince i giudici della Cassazione.

A giudizio della Suprema Corte, vi era stata confusione tra i permessi disciplinati dall’art. 23 St. lav. e quelli previsti dall’art. 30.

Ed infatti, mentre l’art. 23 stabilisce che “i dirigenti delle r.s.a. (ora r.s.u.) di cui all’art. 19 hanno diritto, per l’espletamento del loro mandato, a permessi retribuiti”; l’art. 30 stabilisce che “i componenti degli organi direttivi, provinciali e nazionali delle associazioni (sindacali) di cui all’art. 19 hanno diritto a permessi retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti”.

È evidente che mentre le attività in genere, necessarie per l’espletamento del mandato sindacale non sono controllabili (Cass. n. 2553/01, n. 14128/99), ma comunque censurabili specie laddove si accerti che il permesso (anche ex art. 23 L. 300/1970) sia stato utilizzato per fini personali (Cass. n. 454/03), la partecipazione alle riunioni agli organi direttivi può essere naturalmente controllabile ed in caso di accertata mancata partecipazione certamente, censurabile.

Come anche in passato. la Cassazione ha rilevato che i permessi sindacali retribuiti di cui all’art. 30 St. Lav. per i dirigenti provinciali e nazionali delle organizzazioni sindacali possono essere utilizzati soltanto per la partecipazione a riunioni degli organi direttivi.

Ne consegue che l’utilizzo per finalità diverse (nella specie preparazione delle riunioni e attuazione delle decisioni) giustifica la cessazione dell’obbligo retributivo da parte del datore di lavoro, che è abilitato ad accertare l’effettiva sussistenza dei presupposti del diritto.

Inoltre, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, l’indebita utilizzazione dei permessi non si traduce in un inadempimento ma rivela l’inesistenza di uno degli elementi costitutivi del diritti; ne consegue che, in caso di contestazione, qualora il lavoratore, su cui grava il relativo onere, non fornisca la prova dell’esistenza del diritto, trovano applicazione le regole ordinarie del rapporto di lavoro e l’assenza del dipendente è ritenuta mancanza della prestazione per causa a lui imputabile.

La decisione

Ebbene, nel caso di specie era emerso, a seguito di accertamenti svolti dal datore di lavoro, che il dipendente, durante i permessi retribuiti, si era dedicato ad attività ricreative o personali del tutto avulse dai permessi ottenuti e comunque non aveva partecipato a nessuna delle predette riunioni degli organi direttivi dell’organizzazione sindacale.

La sentenza impugnata aveva, quindi, erroneamente ritenuto che l’eventuale condotta abusiva non avrebbe avuto alcuna conseguenza risolutiva del rapporto, ammettendo al massimo l’adozione del provvedimento di ritenzione della retribuzione.

In definitiva, la sentenza è stata cassata e il lavoratore licenziato!

La redazione giuridica

 

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