In tema di acquisizione successiva della cittadinanza, il giudice demolisce il giuramento per le persone disabili perché discriminatorio

Scolasticamente è noto come il cuore stesso della costruzione del diritto antidiscriminatorio, ad ogni livello, risieda nel non trattare in modo uguale situazioni differenti e viceversa.

E’ un concetto generale, quasi di buon senso, che trova particolare rilevanza e risonanza quando ci si trova a discutere, come nel caso di specie, di diritti fondamentali che per loro natura sono universali e non comprimibili.

Con una delle ultime pronunce dell’anno che si è appena chiuso (7.12.2017 n. 258) la Consulta approfondisce questa tematica, su remissione di un giudice tutelare investito della controversia sulla trascrivibilità del decreto presidenziale, di concessione della cittadinanza, in assenza di giuramento.

Il giudice delle leggi ha dichiarato non conforme al dettato costituzionale la norma in questione poichè l’interpretazione corrente delle norme sulla cittadinanza è tale da configurare discriminazione indiretta per causa di disabilità.

Ci troviamo di fronte ad un caso in cui si chiede una specifica interpretazione della legge circa l’acquisto della cittadinanza da parte di una persona con disabilità mentali od intellettive, in astratto inquadrabile nell’ambito generale della incapacità giuridica.

L’insegnamento tradizionale in tema di atti personalissimi – quale è certamente il giuramento al seguito del quale la cittadinanza esiste – è granitico nel confermare che gli stessi non possono essere compiuti da persona diversa dal titolare, in quanto l’atto stesso costituisce l’unione fra il soggetto ed il rapporto che origina dall’atto stesso, dovendosi configurare perciò che tali atti, o sono posti in essere dal titolare o non possono essere compiuti, in quanto per questi determinati atti non esiste possibilità di decisione supportata o sostitutiva, quale quella che verrebbe posta in essere da una persona con disabilità, beneficiaria di amministrazione di sostegno.

Sappiamo anche, su un piano visuale diverso, come le norme internazionali vigenti anche nel nostro ordinamento, in primo luogo la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità recepita con legge 18/2009, stabiliscano appunto che alle persone disabili deve essere garantito il diritto al nome ed alla registrazione della nascita come parte del loro riconoscimento universale come persone davanti alla legge (art. 18 para 2).

Il citato articolo 18 della Convenzione garantisce anche – e forse soprattutto l’uguaglianza delle persone con disabilità in tema di libertà di movimento ed acquisizione di una nazionalità – identificando le circostanze nelle quail si riscontra il maggiore livello di discriminazione nei confronti delle persone disabili.

A mente dell’ordinanza remissiva che è all’origine della sentenza in commento, quella che qui ci occupa è una delle circostanze maggiormente discriminanti che possano esistere, poiché giunge a negare la cittadinanza, ponendo la persona con disabilità nel limbo dell’apolidia.

Il Tribunale di Modena identifica un buco nella normativa vigente, basandolo sull’approccio antidiscriminatorio e argomentando che l’accesso alla cittadinanza italiana per le persone disabili è una di quelle questioni di cui la legge di riforma della cittadinanza 5 febbraio 1992 n. 91 ha mancato di occuparsi, registrandosi un dato di sostanziale disinteresse alla problematica che, tuttavia non resta priva di ripercussioni, nella tutela concreta delle posizioni di soggetti deboli e, di fatto, stranieri.

Alla conclusione circa la discriminatorietà, nei confronti dell’aspirante cittadino con disabilità, del combinato disposto delle norme sulla cittadinanza e della legge 6/2004 in tema di amministrazione di sostegno e comunque di atti personalissimi, per come in precedenza qualificati, si giunge anche sulla base del diritto internazionale anteriore alla convenzione sui diritti delle persone disabili.

Infatti l’art. 15 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 il diritto di ogni persona ad avere una nazionalità, proibendo nel contempo la privazione arbitraria di tale diritto, considerandolo fondamentale per il godimento di tutto il catalogo dei diritti umani: principi che evidentemente conservano tutta la loro validità anche nei confronti delle persone con disabilità.

Sul tema infatti, gli standard internazionali hanno negli ultimi anni hanno progressivamente ristretto e limitato la libertà sovrana del singolo Stato di negare la cittadinanza, con lo scopo dichiarato di ridurre l’apolidia.

In ogni caso la perdita o la privazione della nazionalità non può avvenire su base discriminatoria che sia proibita dalla normative internazionale sui diritti umani e quindi attualmente anche sulla base della disabilità.

Anche la giurisprudenza della CGUE ha già avuto modo di pronunciarsi, stabilendo che è sostanzialmente vietato negare la cittadinanza quando la decisione possa porre il soggetto nella condizione di perdere la cittadinanza comunitaria, ad ogni effetto.

La giurisprudenza comunitaria di fatto equipara la perdita del diritto al suo mancato riconoscimento (cfr Kuric et al. v. Slovenia 13.7.2010, GC 26.6.2012).

Il Giudice Tutelare di Modena, come detto, riconosce e sottolinea la particolare rilevanza del caso, poi fatta propria dalla Consulta, ma non ci si deve nascondere il fatto che la questione era stata posta – ma probabilmente non risolta – già in precedenza, con altre ordinanze.

La soluzione auspicabile sarebbe quella che consente la salvaguardia del diritto dell’incapace di compiere i propri atti personalissimi, ed anche quelli necessri all’acquisizione della cittadinanza per chi non può prestare giuramento, attraverso uno strumento flessibile e dinamico che ne assicuri la protezione degli interessi scopo che dovrebbe essere – secondo il disegno originario – proprio dell’amministrazione di sostegno.

La speranza è che sulla base delle linee guida fornite nella sentenza in commento a seguito della remissione si trovi una soluzione coerente con l’ordinamento nel suo complesso.

Non rimane che monitorare l’esito del giudizio sospeso per consentire la decisione della Consulta, tenendo conto che in fattispecie analoga è già stato affermato il principio per il quale lo straniero con disabilità, beneficiario di amministrazione di sostegno può acquistare la cittadinanza anche se infermo di mente e non in grado di prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica, tanto più in considerazione che lo strumento di cui alla legge 6/2004, tende a garantire decisioni supportate piuttosto che sostitutive, anche in questo caso in applicazione del principio generale di uguaglianza davanti alla legge, di cui, per le persone con disabilità all’art. 12 CRPD.

 

Leggi la sentenza

 

Silvia Assennato

(Avvocato in Roma)

 

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