Con l’ordinanza del 27 marzo scorso, il Tribunale di Roma ha stabilito che è legittimo il pignoramento presso terzi di somme oggetto di ordinanza di conversione e rateizzazione

La vicenda

La vicenda trae origine dalla procedura esecutiva immobiliare promossa da un creditore nei confronti del suo avente causa, il quale dopo aver ed ottenuto la conversione del pignoramento, aveva già cominciato a pagare le rate previste nel piano di conversione.
Sennonché, a fronte di una sentenza passata in giudicato un altro creditore dell’originario pignorante decideva di procedere nei confronti di quest’ultimo tramite un pignoramento di crediti e, più precisamente pignorando il credito vantato nei confronti del predetto debitore già rateizzate. Ebbene, l’istanza di ulteriore pignoramento era stata accolta.
L’opponente, tuttavia, lamentava, innanzitutto di non aver mai ricevuto la notificazione dell’atto di citazione che aveva avviato il giudizio poi conclusosi con la sentenza di condanna divenuta irrevocabile e in secondo luogo, l’impignorabilità delle predette somme in quanto già oggetto di una procedura esecutiva immobiliare, sottoposte a conversione e pertanto nella disponibilità del Tribunale e non anche della parte; chiedeva pertanto, la sospensione della citata esecuzione.

Ma il ricorso non è stato accolto.

Secondo l’indirizzo costantemente espresso dai giudici della Cassazione e dai giudici di merito, in sede di opposizione all’esecuzione promossa in base ad un titolo esecutivo di formazione giudiziale la contestazione del diritto di procedere all’esecuzione forzata può essere fondata su ragioni attinenti ai vizi di formazione del provvedimento fatto valere come titolo esecutivo solo quando questi ne determinino l’inesistenza giuridica, dovendo gli altri vizi del provvedimento e le eventuali ragioni di ingiustizia della decisione che ne costituiscano il contenuto essere fatte valere se, ancora possibile, nel corso del processo in cui il provvedimento è stato emesso.
«Resta pertanto preclusa, per il debitore esecutato o precettato, la possibilità di contestare o di rivisitare in sede esecutiva il titolo esecutivo in forza del quale è stata intrapresa o minacciata l’azione esecutiva negando il fondamento, nell’an o nel quantum o comunque per qualsiasi altra ragione, del diritto fatto valere nei suoi confronti per motivi che dovrebbero o avrebbero dovuto far valere in sede di cognizione, spettando soltanto al giudice di quel procedimento vagliare la fondatezza delle doglianze di qualsivoglia natura prospettate dalla parte debitrice o intimata».
In questi casi, il potere di cognizione del giudice dell’opposizione all’esecuzione è limitato all’accertamento della portata esecutiva del titolo posto a fondamento dell’esecuzione stessa, mentre eventuali ragioni di merito incidenti sula formazione del titolo devono essere fatte valere unicamente tramite l’impugnazione del provvedimento che costituisce titolo medesimo.

La decisione

Ne deriva che in sede esecutiva, l’organo giudicante deve limitarsi a verificare la persistente validità ed efficacia, per an e quantum, di tale titolo e potendo invece gli opponenti formulare le contestazioni inerenti la debenza e legittimità delle somme soltanto in sede di cognizione, ovverosia con lo strumento dell’impugnazione (appello avverso sentenza di primo grado).
Inoltre, la circostanza che le somme siano oggetto di un’ordinanza di conversione non risulta impeditivo rispetto al versamento, in sede esecutiva, delle somme pignorate, ben potendo il terzo, debitore nell’ambito della procedura esecutiva immobiliare, opporre il pagamento di quanto qui assegnato come circostanza estintiva sopravvenuta – rispetto all’ordinanza di conversione – del credito lì cristallizzato.
Per tutti questi motivi, l’istanza cautelare è stata rigettata.

La redazione giuridica

 
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