La Cassazione ha confermato la decisione di condanna emessa a carico della società datrice di lavoro per non aver dotato il suo dipendente di un mezzo idoneo all’espletamento della sua mansione di portalettere

Il dipendente di una nota società di servizi postali italiana, aveva citata in giudizio il suo datore di lavoro, al fine di ottenere il risarcimento del danno biologico, morale ed estetico conseguiti all’infortunio occorso nell’espletamento delle sue mansioni di portalettere
L’incidente si sarebbe verificato mentre era alla guida di un motociclo di dotazione aziendale. Stava viaggiando su una strada sconnessa e priva di asfalto, quando all’improvviso cadeva rovinosamente a terra riportando l’amputazione della falange del IV dito.

Il processo di merito

In primo grado gli era stato riconosciuto un risarcimento pari ad euro 2.685,00 per il danno biologico ed euro 1.330,00 a titolo di risarcimento del danno morale.
La decisione veniva confermata anche in appello stante la mancata prova da parte della società convenuta di aver adottato tutte le misure necessarie ad impedire il danno alla salute del lavoratore causalmente connesso, all’espletamento della prestazione lavorativa.
L’infortunio, si era verificato, come accertato dal giudice di prime cure, per l’inadeguatezza del mezzo a lui affidato, alla percorrenza di strade non asfaltate e particolarmente sconnesse, quale quella nella quale egli aveva riportato la caduta.
E in ogni caso, il riconoscimento del danno morale non creava alcuna duplicazione di tutela risarcitoria stante l’autonomia di tale pregiudizio non patrimoniale (attinente alla sofferenza interiore) rispetto a quello, attinente alla lesione del diritto alla salute, ristorato con il danno biologico.

Il ricorso per Cassazione e la decisione

Ma la società convenuta non ci stava! E proponeva ricorso per Cassazione, denunciando in primo luogo, la violazione di legge, per aver la sentenza impugnata aver fatto applicazione di una sorta di responsabilità oggettiva per l’incidente occorso al lavoratore, nonostante l’assenza di “colpa” ascrivibile a suo carico.
Ma il motivo di ricorso non è stato accolto dai giudici della Cassazione, i quali hanno confermato la decisione di condanna.
Ed infatti, la corte d’appello aveva correttamente fatto scaturire la sua responsabilità non dal mero verificarsi dell’evento dannoso, connesso all’espletamento della prestazione lavorativa, quanto piuttosto, dall’obbligo di protezione del lavoratore ai sensi dell’art. 2087 c.c.
La violazione di tale norma non prefigura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro – di natura contrattuale – va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.
E allora, nel caso di specie, la responsabilità della società datrice di lavoro era stata fondata sul non avere dotato il proprio dipendente di un mezzo adeguato in relazione alle particolari caratteristiche delle sedi stradali – non asfaltate e particolarmente sconnesse – da percorrere nell’espletamento della prestazione lavorativa; tale rilievo esclude in radice la configurabilità della dedotta ipotesi di responsabilità oggettiva.

La redazione giuridica

 
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