La disputa potrebbe aver determinato un ritardo fatale nell’esecuzione di un parto cesareo

E’ la fine di aprile del 2016 quando una donna della provincia di Bari, alla quarantunesima settimana di gestazione, viene ricoverata all’Ospedale ‘Di Venere’ di Bari per portare a termine una gravidanza che fino a quel momento non ha presentato problemi. In sala travaglio, tuttavia, si registra una lieve sofferenza fetale che si aggrava dopo la somministrazione di ossitocina, il farmaco per stimolare il parto.
Il ginecologo, secondo quanto ricostruito dalla Gazzetta del Mezzogiorno, decide quindi di optare per il taglio cesareo, ma in Ostetricia non c’è posto; la sala parto è occupata per lo svolgimento di due cesarei programmati e così la donna viene portata nel blocco operatorio della chirurgia generale. Qui, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, scaturirebbe un alterco tra camici bianchi per l’utilizzo dell’unica sala operatoria al momento disponibile, in cui era in programma l’operazione di un paziente colpito da appendicite, che tuttavia, sarebbe finito sotto ai ferri solamente dopo tre ore.
Quando la situazione si sblocca è ormai troppo tardi. Il feto viene estratto già morto. La Procura apre un fascicolo e il Pm  invia un avviso di conclusione delle indagini per concorso in omicidio colposo a 8 sanitari, tra medici e infermieri, basandosi su una consulenza medico legale che individua un buco fatale tra la richiesta di intervento e l’inizio dell’operazione; un tempo superiore al limite massimo di 30 minuti previsto dalle procedure di intervento richieste per un taglio cesareo classificato come codice rosso/giallo.
I Nas, con un’informativa dello scorso 21 febbraio, svelano la lite tra i camici bianchi. In particolare agli atti figurerebbe la relazione di un’anestesista che avrebbe suggerito di dare priorità al cesareo ma sarebbe stato dissuaso dalle rimostranze dei chirurghi i quali avrebbero affermato, in maniera perentoria e ad alta voce, che nella sala di chirurgia generale potevano operare soltanto loro. Uno dei chirurghi avrebbe invece fatto presente che nessuno gli aveva riferito dell’estrema gravità e urgenza dell’intervento ostetrico. Occorrerà ora capire se dalla lite tra colleghi sia derivato il ritardo risultato decisivo per le sorti del piccolo.

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