Le regole di valutazione dell’attendibilità della persona offesa

Era stato condannato alla pena di anni quattro di reclusione il sacerdote che con più azioni esecutive del medesimo disegno e, in tempi diversi, aveva usato violenza fisica e costretto alcuni giovani ragazzi della propria parrocchia a compiere e subire atti sessuali.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, quest’ultimo, imponente nel fisico e dotato di particolare carisma nella comunità dei giovani, approfittando di tali relazioni interpersonali e a volte cogliendo la scusa di praticare massaggi shatsu, li costringeva a subire atti sessuali di vario genere.
A seguito della condanna, il ministro di culto si rivolgeva ai giudici della Suprema Corte di Cassazione che ancora una volta confermavano il giudizio sulla sua penale responsbailità.
Nessun dubbio circa l’esito dei fatti; nessun dubbio neppure in merito alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 9 c.p. considerata la ricostruzione dei fatti e la evidente strumentalizzazione delle sue funzioni nella comunità parrocchiana.
Da tempo la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “in tema di aggravante dell’abuso dei poteri o della violazione dei doveri inerenti alla qualità di ministro di un culto, non è necessario che il reato sia commesso nella sfera tipica e ristretta delle funzioni e dei servizi propri del ministero sacerdotale, ma è sufficiente che a facilitarlo siano serviti l’autorità e il prestigio che la qualità sacerdotale, di per sé, conferisce e che vi sia stata violazione dei doveri anche generici nascenti datale qualità ((cfr. Sez. II, n. 93334 del 26/02/1998, Raspini, RV. 179204; Sez. III, n. 37068 del 24/06/2009, A., Rv. 244963).
Ma vi è di più. I giudici della Suprema Corte di Cassazione, in linea con la contemporanea dottrina della Chiesa cattolica e cogliendo l’occasione del caso in esame, formulano il seguente principio di diritto. “Nei reati sessuali, è configurabile l’aggravante dell’abuso dei poteri o della violazione dei doveri inerenti alla qualità di ministro del culto cattolico, non solo quando il reato sia commesso nella sfera tipica e ristretta delle funzioni e dei servizi propri del ministero sacerdotale, ma anche quando la qualità sacerdotale abbia facilitato il reato stesso, essendo il ministero sacerdotale non limitato alle funzioni strettamente connesse alla realtà parrocchiale, ma comprensivo di tutti quei compiti riconducibili al mandato evangelico costitutivo dell’ordine sacerdotale; tale mandato comprendendo le attività svolte a servizio della comunità e, senza carattere esaustivo, quelle ricreative, di assistenza, di missione, di aiuto psicologico ai fedeli e a chiunque ne abbia bisogno, ivi comprese le relazioni interpersonali che il sacerdote intraprenda in occasione dello svolgimento di tali attività”.
Ebbene, i giudici dell’appello nel richiamarsi alla valutazione di credibilità della persona offesa, avevano analizzato gli atti compiuti confermandone, con argomentazione rispettosa dei principi giurisprudenziali relativi al reato di cui all’art. 609 bis c.p., la natura sessuale e la repentinità e quindi la violenza.
Non è certo una novità che nei reati sessuali l’elemento della violenza può estrinsecarsi sia nella sopraffazione fisica, sia nel comportamento insidiosamente rapido dell’azione criminosa, tale da sorprendere la persona offesa e da superare la sua contraria volontà, ponendola in tal modo nell’impossibilità di difendersi (cfr. Sez. III, n. 27273 del 15/06/2010, M., Rv. 247932). Né rileva la breve durata (cfr. Sez. III, n. 12506 del 23/02/2011, Z., Rv. 249758), o il fatto che gli atti sessuali siano stati posti in essere con i vestiti indosso (in tal senso, si veda (cfr. Sez. III, n. 27042 del 12/05/2010, S.J., v. 248064).
Come noto, in materia di reati sessuali la giurisprudenza di legittimità ha elaborato alcune linee guida per valutre l’attendibilità delle persone offese. Infatti il giudice di merito può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità penale anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposa a vaglio positivo circa la sua attendibilità, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192. c. 3 e 4 c.p.p. che richiedono la presenza di risconti esterni (cfr. Sez. I, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016; Sez. III, n. 1818 del 3/12/2010, L.C., Rv. 249136 e altre).
Ciò però implica che i giudici di merito debbano considerare e analizzare tutti gli elementi agli atti che possano validare il giudizio di attendibilità e anche quelli che possano porre in crisi tale valutazione, spiegando le ragioni della loro irrilevanza ai fini della decisione.
Allo stesso tempo, è addirittura possibile scindere la valutazione della prova testimoniale (c.d. valutazione frazionata), ritenendo alcune parti delle dichiarazioni non veridiche, purché, come avvenuto nel caso di specie, i giudici diano conto con adeguata motivazione delle ragioni di tale diversa valutazione e di come tale apparente contrasto non si riverberi in un contrasto logico-giuridico della prova stessa (Cfr. Sez. VI, n. 7900 del 6/7/1998, Martllo, Rv. 211376 e Sez. VI, n. 10625 del 31/11/1992, Palmucci, Rv. 192149). L’eventuale giudizio di inattendibilità, riferito ad alcune circostanze, non inficia la credibilità delle altre parti del racconto, sempre che non esista un’interferenza fattuale e logica tra le parti fattuali del narrato per le quali non si ritiene raggiunta la prova della veridicità e le altri parti che siano intrinsecamente attendibili e adeguatamente riscontrate, tenendo conto che tale inferenza si verifica solo quando tra una parte e le altre esiste un rapporto di causalità necessaria o quando l’una sia imprescindibile antecedente logico dell’altra, e sempre che l’attendibilità di alcune delle parti delle dichiarazioni non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere per intero la stessa credibilità del dichiarante” (cfr. Sez. III, n. 40170 del 26/09/2006, G., Rv. 235575, di veda anche Sez. VI, n. 20037 del 19/03/2011, L., Rv. 260160).
Di contro, non è possibile una “valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa, riferibili ad un unico episodio avvenuto in un unico contesto temporale, in quanto il giudizio di inattendibilità su alcune circostanze inficia, in tale ipotesi, la credibilità delle altre parti del racconto, essendo sempre e necessariamente ravvisabile un’inferenza fattuale e logica tra le parti del narrato” ( Sez. III, n. 21640 del 11/05/2010, P., Rv. 247644;).

Avv. Sabrina Caporale

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